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L’animalismo al vaglio di Roger Scruton
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14 Gennaio 2020

L’animalismo al vaglio di Roger Scruton

Domenica scorsa gli animalisti milanesi si sono ritrovati in piazzale Cuoco, all’esterno del Circo Orfei, per protestare contro l’utilizzo degli animali nei circhi. Il sit in si è svolto praticamente in contemporanea con lo spettacolo: gli attivisti si sono presentati con megafoni e cartelli, su uno c’era la fotografia che mostrava un elefante in catene e la scritta «lo trovi divertente?». Con loro Luigi Piccirillo, consigliere regionale lombardo del Movimento 5 Stelle, che si prepara a presentare una mozione sul tema e che su Facebook ha commentato così: «Nei pochi minuti di spettacolo in pista vengono nascosti i quotidiani, faticosi e umilianti momenti dell’addestramento; volti a piegare l’animale alla volontà dell’uomo che li costringe ad esibirsi in quanto di più lontano dalle caratteristiche etologiche».

Lo stesso giorno moriva a 75 anni il filosofo Roger Scruton, tra i più autorevoli esponenti del pensiero conservatore di matrice anglosassone dell’ultimo mezzo secolo, protagonista del dibattito culturale nel mondo di lingua inglese e non solo. Un cristiano anglicano, che in un’intervista disse: «Sono sempre stato attratto dalla Chiesa cattolica per il suo rispetto per la tradizione, per la continuità apostolica che rappresenta e per i suoi tentativi di infondere sacramenti nella vita ordinaria». Tra i temi di cui l’eclettico Scruton si è occupato non ultimo è stato quello condensato in un libro uscito anche in italiano, dal titolo Gli animali hanno diritti? (Raffaello Cortina). Ecco alcuni estratti:

«I partigiani della “liberazione degli animali” hanno enfatizzato e reiterato il punto che gli animali soffrono quanto noi: provano dolore e paura, sentono fame e freddo e quindi, come sostiene Peter Singer, hanno “interessi” che formano, o dovrebbero formare, parte della questione morale Anche se ciò è vero è comunque solo una parte della verità» […] Dobbiamo comunque fare tre distinzioni e precisamente tra:

  • Infliggere deliberatamente dolore fine a se stesso e in modo da poter godere dello spettacolo della sofferenza;
  • Infliggere deliberatamente dolore in modo da raggiungere un altro scopo, per ottenere il quale il dolore è un mezzo necessario;
  • La scelta deliberata di agire in un modo del quale il dolore è un sottoprodotto inevitabile, ma non voluto.

[…] Devono essere condannati senza appello i combattimenti fra cani e fra cani e orsi, poiché comportano una sofferenza deliberatamente inflitta, fine a se stessa e con l’obiettivo di godere del risultato. Tuttavia non tutto il dolore inflitto deve essere paragonato in questi casi. Gli animali non possono essere addestrati senza una punizione occasionale, che deve essere dolorosa per ottenere l’effetto voluto, ma che non è inflitta per provocare sofferenza fine a se stessa bensì per ottenere il risultato desiderato: se fosse possibile ottenerlo senza dolore sarebbe allora giusto scegliere la maniera che non lo comporta. Però nel momento in cui l’addestramento di un cavallo o di un cane risulti migliore con un sistema punitivo, infliggergli qualunque forma di dolore sia necessaria a tal fine non è crudeltà, ma gentilezza».

Scruton arriva a parlare della corrida di cui dice: «Potrebbe essere condannata ipso facto solo se l’interesse degli spettatori fosse crudele e sadico, e bisognerebbe chiedersi se, in generale, i tori vivano meglio in una società che pone fine alla loro vita in un’arena o in una società dove non sono utili se non come carne di manzo».

Scritte nel 1996 (titolo originale Animal Rights and Wrongs) come verrebbero accolte le sue parole oggi? Passerebbero il vaglio del politicamente corretto che inneggia alla libertà solo quando non si infrangono certi tabù?

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