«Questa volta è finita». Inizia così il comunicato firmato dai genitori di Vincent Lambert, insieme a due dei fratelli, David e Anne, arrivato ieri con tutto il suo carico di dolore: «Cari amici che ci avete sostenuto tanto durante questi sei anni, questa volta è finita. I nostri avvocati hanno moltiplicato in questi giorni i ricorsi e le azioni per far rispettare il ricorso sospensivo davanti alle Nazioni Unite di cui beneficiava Vincent. Invano. La sua morte è ormai inevitabile. Gli è stata imposta, a lui come a noi. Anche se non la accettiamo, non possiamo che rassegnarci nel dolore, nell’incomprensione, ma anche nella Speranza. Volevamo ringraziarvi tutti per la vostra amicizia, per il vostro amore, per il vostro sostegno, per le vostre preghiere in tutti questi anni. Non c’è più niente da fare se non pregare e accompagnare il nostro caro Vincent, nella dignità e nel raccoglimento. Siete con noi tutti con il pensiero e la preghiera presso Vincent».
Il protocollo di morte portato avanti dal dottor Sanchez è ormai dunque irreversibile. La sua ostinazione è stata tale che non ha avuto tentennamenti nemmeno durante questi sette, lunghi, giorni di agonia. Giorni miracolosi in quanto solo una forza soprannaturale può tenere in vita un uomo senza idratazione così a lungo. Eppure Vincent ha resistito, come a voler dare a chi lo stava uccidendo una possibilità di fermarsi, di convertirsi, di #restareumani, come direbbe qualcuno. Ma non è accaduto, Vincent Lambert muore. Sembra inevitabile. Immolato sull’altare dell’eutanasia, perché in Francia come in Italia c’è già chi sta usando questa morte straziante per fame e per sete per chiedere una morte molto più “dignitosa”, molto più buona, molto più dolce, quella tramite eutanasia. Sembra di sentire Berlicche che sussurra nell’orecchio: “Non sarebbe stata meglio una puntura rapida e indolore?”.
Il mondo la vorrebbe così, la morte, rapida e indolore. Vincent Lambert invece – che è nel mondo ma non del mondo – la onora morendo come Cristo in croce, condannato a morte da innocente. Sua madre Viviane è la Stabat Mater della Francia di Macron. Suo figlio soppresso come avveniva nella Germania di Hitler. Paragone che scandalizza i paladini dell’autodeterminazione, granitici nel perseguire la morte anche quando un uomo non ha determinato nulla di questa fine atroce.
Però, semplicemente stando, inchiodato al suo letto – lo ripetiamo fino allo sfinimento, non era in fin di vita, era semplicemente un disabile grave – Vincent Lambert ha toccato i cuori di migliaia di persone lontanissime da lui, piegato centinaia di ginocchia e fatto salire al Cielo fiumi di preghiere. Preghiere per la vita, ma soprattutto per la conversione dei servitori della morte. Quanti frutti vedremo da questo seme che muore? Alcuni sono già qui.
L’esercito orante – come è stato per Charlie e Alfie – ha risposto anche in Italia. Il 10 luglio, alle 18.30, in piazza Montecitorio a Roma è previsto un evento apartitico «fieramente confessionale», un Rosario, che sarà recitato «per Vincent Lambert e tutte le vittime silenziose di questa strage ideologica che introduce il concetto dello scarto umano; che non cura le ferite dell’uomo, ma che spinge a calpestare ciò che lo rende unico, il mistero».
Il 12 luglio invece, alle 18.00 a Genova, sempre per Lambert, scenderanno in piazza le Sentinelle In Piedi. Nel volantino un chiaro appello alla politica affinché «si ribadisca che l’istigazione al suicidio è un reato, senza se e senza ma». Il riferimento è alla scadenza del 24 settembre imposta dalla Corte Costituzionale al Parlamento affinché legiferi e introduca de facto l’eutanasia per il nostro Paese. Sapremo alzarci in piedi di fronte a questo? Possiamo forse non farlo di fronte all’ingiusta morte di Lambert e al fatto che potrebbe accadere anche a noi?
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