Tursunay Ziyawudun ha partecipato a un vertice internazionale sulla libertà religiosa a Washington il 14 luglio scorso. Con la voce rotta dall’emozione, ha detto che le sue «esperienze in questi campi [di detenzione cinesi]hanno lasciato cicatrici indelebili nel mio cuore» ed è per questo che «capisco come sia mio dovere essere la voce delle persone che sono in quei campi: coloro che sono morti davanti ai miei occhi e a coloro che sono ingiustamente detenuti in carcere».
Secondo il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, dall’aprile 2017 la Cina ha istituito una rete di campi di detenzione e internamento nello Xinjiang, in cui ha imprigionato più di un milione di uiguri, kazaki, huis, membri di altri gruppi musulmani e anche cristiani. I detenuti in questi campi sono indottrinati politicamente, torturati, abusati sessualmente e fisicamente, sterilizzati e sottoposti a lavori forzati. L’attuale Segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha affermato che la Cina sta compiendo un genocidio in questa regione, qualcosa di simile a quanto affermato all’epoca dall’ex Segretario di Stato Mike Pompeo.
Gli uiguri sono una minoranza etnica nel nord-est della Cina e sono principalmente musulmani. La maggior parte delle persone nei campi di detenzione appartiene a questo gruppo. «Milioni di uiguri stanno soffrendo e sono vivi solo perché hanno speranza e credono che ci sia giustizia in questo mondo», ha detto Ziyawudun. «Il mio popolo, che ha subito il genocidio negli ultimi cinque anni, aspetta il vostro aiuto e quello di tutta l’umanità». La donna ha sottolineato che la seconda volta in cui è stata in un campo di detenzione «è stata ancora più disumana della prima». I detenuti nei campi hanno sempre paura e subiscono violenze da parte della polizia Han, il gruppo maggioritario in Cina. Una pratica comune è che le donne uigure siano costrette a sposare uomini di questo gruppo dopo che i loro mariti sono stati portati nei campi.
La sopravvissuta ha raccontato di aver assistito a uno stupro da parte delle guardie Han, che in un episodio hanno anche abusato sessualmente di lei. «A volte hanno lasciato le donne in fin di vita» e «alcune donne sono letteralmente scomparse», ha aggiunto. Il suo secondo arresto è stato nel 2018 ed è durato quasi un anno. «A volte ci hanno mostrato film di propaganda» o «ci hanno insegnato le leggi cinesi o le canzoni ‘rosse’, e a volte ci hanno fatto fare giuramenti di fedeltà al Partito comunista cinese». Il Partito comunista cinese assicura che i campi sono per la “rieducazione” e cercano di combattere il terrorismo. Ziyawudun ha affermato di aver potuto parlare della sua esperienza solo una volta arrivata negli Stati Uniti, in particolare attraverso l’aiuto ricevuto dal governo e dall’Uyghur Human Rights Project.
Un’altra sopravvissuta dei campi cinesi, Gulzira Auelkhan, è apparsa martedì davanti a una commissione del Congresso. È stata arrestata nel 2017 ed è stata detenuta in quattro campi diversi. Gli è stato finalmente permesso di uscire nel gennaio 2019. In diverse occasioni è stata picchiata con bastoni elettrici se, ad esempio, lei o qualche altro prigioniera trascorreva più di due minuti in bagno. Un’altra punizione utilizzata era quella di sedersi per 14 ore sulla cosiddetta “sedia della tigre”, un sedile di ferro in cui il detenuto è immobilizzato con sbarre d’acciaio che premono sulle sue ossa fino quasi a fratturarle. Se il punito si addormenta, gli versano addosso dell’acqua fredda per svegliarlo, il tutto senza mai toccare cibo.
Al vertice sulla libertà religiosa ha partecipato anche il rappresentante del New Jersey, Chris Smith, affermando in questi campi anche le donne uigure sono «sottoposte a sterilizzazione, i loro bellissimi bambini vengono abortiti e i bambini uiguri vengono rapiti e cresciuti in orfanotrofi lontani da casa, perdendo le loro usanze oltre alle loro famiglie. Tutto questo rientra nella definizione di genocidio». (Fonte)
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