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L’aberrazione più grande non è dell’architetto, ma della diocesi che accetta certi progetti
NEWS 22 Settembre 2016    

L’aberrazione più grande non è dell’architetto, ma della diocesi che accetta certi progetti

di Giorgio Enrico Cavallo

 

«Era una casa molto carina, senza soffitto, senza cucina…». Quella di via dei matti numero 0 è senza dubbio una casa originale, priva di tutti i requisiti essenziali. Altro che certificato di abitabilità! Essa assomiglia un po’ a quelle chiese costruite oggi che – scusate l’ignoranza in fatto di architettura – sembrano progettate proprio dagli abitanti della celebre via dei matti.

Ne ho viste tante, di chiese costruite dai matti: sono bizzarre e futuristiche, alcune fatte a forma di cubo, altre simili a piramidi; certe sono di splendente vetro, altre di assai decorativo cemento. Ce ne sono che assomigliano ad estetiche scatole da scarpe, altre che ricordano dei bunker dell’ultima guerra. Insomma, ce ne sono per tutti i gusti, e scusate se è poco: le chiese costruite dai matti sono spoglie, senza orpelli, senza fronzoli, senza tutto quello sfarzo e quell’oro che sembrano proprio un’allegra offesa ai poveri, i quali potrebbero anche prendersela con Nostro Signore, onorato come un re mentre loro non arrivano a fine mese.

Dunque, viva il vero francescanesimo e viva le chiese senza soffitto e senza cucina, senza oro e senza sfarzo. Già che c’erano, i nostri solerti architetti hanno anche eliminato i campanili – a che serviranno, poi? – azione che, a ben pensarci, ha anche un altro pregevole merito: quello di mimetizzare le chiese nell’uniforme panorama urbano. E sì, un tempo c’erano architetti un po’ bizzarri, che costruivano enormi torri sulle quali piantavano una croce e installavano grosse campane. Grosse e rumorose. Era evidente che campanili così alti, con campanoni che non stavano mai fermi, si distinguevano subito nel panorama cittadino. Qualcuno poi ci metteva anche un orologio, lassù, così che tutti alzavano lo sguardo per vedere l’ora. Orrore! La Chiesa non deve alzare la voce, non si deve far vedere, e soprattutto deve rispettare il pensiero di tutti: avere un campanile alto e fracassone avrebbe di certo disturbato i non credenti, i musulmani, gli indù, i pastafariani e via dicendo.

I nostri bravi architetti hanno poi eliminato abside e navate: a che servono? Meglio mettere l’altare in mezzo alla chiesa – magari – e meglio ancora se il tabernacolo viene messo in un angolo, dove nessuno lo può vedere. Piuttosto, è bene mettere in una bella posizione la cantoria, ché tutti devono sentire le raffinate canzoni stile pop della Messa-Nuova-Versione, e soprattutto le mamme devono poter vedere i loro pargoletti mentre schitarrano e stamburellano durante gli stacchetti musicali. L’organo – quel cupo strumento anteguerra – se proprio deve essere installato, deve essere lasciato ben coperto e nascosto da un telo. Non sia mai che si vogliano suonare delle musiche scritte da quel tizio che ha scoperto le gocce di fiori omeopatici.
Ma soprattutto – dicevamo – gli architetti hanno deciso che tutte le decorazioni dovessero essere eliminate. In fondo, i luterani già lo fanno: hanno delle magnifiche chiese con i muri tutti bianchi, sui quali viene appeso solo l’orario delle Messe e l’immancabile cartellone con le foto dei bimbi del catechismo. Bene: muri bianchi siano. Via le icone, via gli ori, via cappelle e statue di Madonne e santi. Via tutto. I muri li vogliamo bianchi, meglio ancora se di cemento a vista, meglio poi se ruvido come la grattugia del Grana Padano.

Ora, poiché questa situazione è comune al 99% delle chiese costruite negli ultimi cinquant’anni, c’è da pensare che in via dei matti ci sia probabilmente la sede della facoltà di architettura. Ridendo e scherzando, però, due domandine uno se le fa. Tra le tante: ma perché le chiese di oggi devono essere costruite come se fossero dei prefabbricati? Perché i muri devono essere spogli e bianchi, di nudo cemento, come un parcheggio multipiano? Perché i cristiani devono pregare rivolti verso un muro bianco e non verso delle icone o delle pale d’altare? Perché, in sostanza, le chiese di oggi devono essere grezze, tristi, asettiche, fredde, distanti dai fedeli, in una parola: brutte?

Perché non possono essere quello che sono sempre state: dei templi dello spirito, Casa di Dio e porte aperte sul Paradiso, luoghi di preghiera e di devozione; e soprattutto dei luoghi d’arte, dove la fantasia ispirata dall’uomo è stata per secoli messa in mostra, ammirata da altri uomini che a loro volta hanno potuto realizzare altri capolavori artistici? Ve li vedete un Giotto o un Michelangelo, un Bach o un Perosi, un Bernini o un Brunelleschi, ve li vedete oggi? Potete dire che, oggi, entrando in una chiesa moderna, vi venga voglia di emulare questi grandi, dipingendo una Madonna col Bambino, componendo una corale o progettando una cappella? Probabilmente, visto tutto il cemento che vi circonda, vi verrà voglia di fare una bella colata anche nel prato del vostro giardino.

Sarà per questo, forse, che anche i nostri bravi (?) vescovi approvano il progetto di chiese di questo tipo. Perché l’aberrazione più grande non è quella dell’architetto, ma quella della diocesi che accetta progetti di ben dubbio gusto. Perché c’è qualcuno che dice sì, quella chiesa s’ha da fare, e non importa che sia brutta. Anzi, meglio così. Chiedetelo alla Cei, Conferenza-Episcopale-Italiana, ad esempio, che commissionò a Fuksas un elegantissimo cubo di grigio cemento, che sfigurerebbe perfino nelle più squallide città dormitorio ex-sovietiche. Chiedetelo alla diocesi di Torino, che si è rifatta la sede in piena periferia, realizzando un edificio che ricorda più o meno un misero altoforno (con tutte le scuse per gli altoforni). Chiedetelo alla diocesi di Siracusa, dove si staglia per 74 metri un raffinato cappello delle streghe, altrimenti detto santuario della Madonna delle Lacrime. E via dicendo. Non sempre, però, si tratta di ecomostri: a volte le chiese post-conciliari, post-moderne e ormai post-cattoliche sono, esternamente, più simili a delle piscine o a dei cinema. Si mimetizzano così bene con il grigiore delle periferie che, camminando per strada, nemmeno le noti. Figuriamoci, poi, se ti viene voglia di entrarci dentro per pregare. L’occhio e lo spirito hanno bisogno di bellezza e di raccoglimento: ma come possono trovarli in un posto che ricorda l’interno di una fabbrica?

Ma in fondo, come abbiamo visto, questi edifici altro non sono che lo specchio della moderna teologia cattolica, che frulla un po’ di bizzarro ecumenismo insieme ad un pessimo protestantesimo e ad un finto francescanesimo, insieme ad una spruzzata di immancabile progressismo. Un cocktail di teologia appresa nella sala d’attesa del dentista, leggendo l’ultimo numero di “il mio Papa” o l’ultimo editoriale di “Repubblica”. Insomma, una teologia della fuffa, che al posto di cambiare il mondo annunciando Cristo preferisce che sia il mondo a cambiarla annunciando il nulla. Una deriva folle ed inquietante, tradita proprio dall’architettura inconsistente ed allucinata che ci hanno imposto costruendo discutibili chiese in “stile Ikea” e abbandonando o demolendo chiese vecchie di secoli. In nome di cosa, non si sa. Per quale fine, non si sa. Si sa solo che le nostre diocesi applaudono alla fuffa spirituale ed artistica, erigendo chiese sempre più brutte e conducendoci verso un cristianesimo sempre più arido. Indubbiamente, molti vescovi hanno le idee un po’ confuse. Probabilmente, hanno costruito il seminario in via dei matti numero 0. Alcuni di essi – viene da sospettare – ci abitano pure.