Se non sono volati stracci è comunque tirata un’aria tesa, nelle scorse ore, in seno alla maggioranza di centrosinistra che governa la città di Bologna. Sì, perché il Consiglio comunale ha registrato una divisione sui contributi alle scuole paritarie dell’infanzia. Contributi che, per inciso, sono stati approvati sì con una maggioranza netta – ben 34 voti a favore su 37 votanti -, ma pure con tre voti di opposizione difficili da ignorare, dal momento che son stati quelli di Coalizione Civica, la lista di sinistra che esprime la vicesindaca Emily Clancy. Il centrodestra, invece, ha votato compatto. Ed è proprio ad un consigliere dell’opposizione, il leghista Matteo Di Benedetto (in foto sotto), peraltro già noto per il suo impegno in favore dei valori non negoziabili – libertà di educazione inclusa, evidentemente –. che il Timone si è rivolto per capire meglio ciò che è accaduto in Comune a Bologna.
Consigliere Di Benedetto, cos’è successo esattamente? «Il Comune di Bologna ha deliberato il rinnovo della convenzione con le scuole paritarie dell’infanzia, aumentando anche l’importo della cifra corrisposta. Purtroppo questo non va a coprire integralmente l’aumento dei costi denunciato dalle scuole, ma è comunque una misura positiva, per questo abbiamo votato a favore. Si tratta di una scelta che va a riconoscere nel sistema integrato pubblico-privato la traduzione di quella libertà educativa, in capo ai genitori, riconosciuta anche dalla Costituzione. Laddove manchi la possibilità di scelta, rischierebbe di venire meno, come è stato spiegato da diversi di noi – penso per esempio alla puntuale argomentazione della collega Samuela Quercioli – anche a quella parte della maggioranza di sinistra che ha deciso di votare contro la delibera della sua stessa giunta».
Che posizione e argomenti hanno espresso i contrari della maggioranza al provvedimento? «La sinistra di maggioranza – parlo dei colleghi di Coalizione Civica, che è al governo della città col PD – ha preso posizione contro questo finanziamento. Hanno messo l’accento sul fatto che si tratta di realtà private e non pubbliche, che sarebbero manchevoli, quantitativamente, in proporzione, nel servizio offerto a bambini con disabilità o in situazioni di disagio sociale. In sintesi, si tratterebbe di scuole non per tutti e che non dovrebbero ricevere finanziamenti in quanto non statali. A mio avviso questo non tiene conto del fatto che aumentare i finanziamenti serve proprio a permettere ulteriori accessi di bambini con disabilità o in situazioni di disagio sociale e a mantenere in vita strutture che offrono risposte educative a più di 1.500 famiglie, come sottolineato anche dalla collega Quercioli. Alla domanda su dove avrebbero intenzione di mettere domani questi oltre 1.500 bambini se le scuole chiudessero, non hanno saputo dare risposta. Per questo ritengo si tratti di una posizione ideologica, perché non considera la realtà concreta. Inoltre, non tengono conto del fatto che non si tratta di imprese volte a fare utile, ma di strutture senza scopo di lucro – paritarie, non semplicemente private – finalizzate a offrire un servizio a tante famiglie.».
Possiamo concludere, quindi, che a sinistra c’è il solito problema con la libertà educativa? «Sì. Per la sinistra rimane il problema. Alcuni hanno mandato giù il finanziamento sottolineando la necessità di arrivare quanto prima a fare a meno della paritarie, altri no, come i tre che hanno votato contro. Non penso sia tanto una questione di costi, perché sanno benissimo anche loro che le scuole paritarie fanno risparmiare soldi alla macchina pubblica, perché costerebbe molto di più sostituirle integralmente con il servizio pubblico aumentando le spese di questa voce. Ritengo che sia più una questione legata alla libertà educativa e al primato educato dei genitori: sono concetti che alla sinistra, chi più chi meno, stanno stretti. Alcuni preferirebbero un’impostazione statalista, senza margine decisionale per i genitori rispetto alle scelte educative relative ai propri figli. D’altro canto si parla della stessa sinistra che difende progetti come la tabooteca, proprio a Bologna, che a mio avviso rischiano di portare nelle scuole, dall’asilo, ideologie come la fluidità di genere. Non mi stupisco. È fondamentale, invece, che tutti se ne rendano conto. Difendere la libertà educativa e il primato educativo dei genitori è un dovere e una missione di cui vado fiero e a cui non ho intenzione di sottrarmi» (Foto di apertura: Imagoeconomica).
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