Nel film della scorsa estate, “Ieri”, il musicista in difficoltà Jack Malik trova enorme fama e fortuna dopo aver scoperto che, a causa di un blackout globale, tutti nel mondo hanno dimenticato l’iconica band musicale, i Beatles. Pubblica quindi varie canzoni dei Beatles, come se fossero le sue, ottenendo attenzione, stima e lode. Ma è infelice. Come può un uomo che ha migliaia di fan urlanti in adulazione, ingenti somme di denaro e la compagnia dei ricchi e famosi essere infelice? La risposta diventa dolorosamente ovvia mentre il film procede: a meno che non siamo in pace con noi stessi, le circostanze esterne della nostra vita, anche se spettacolari, non ci renderanno veramente felici.
Già i primi filosofi greci cercavano di capire il mondo intorno a noi. Nel tempo, però, l’attenzione si spostò dalle cose che sperimentiamo con i nostri sensi all’esperienza stessa. Platone vide il mondo interno e il mondo esterno come una potente prova di due regni irriducibili: uno fisico e l’altro spirituale.
Sant’Agostino scoprì l’importanza di questa distinzione mentre leggeva le opere di questi pensatori e scrisse nelle sue Confessioni : «Questi libri mi hanno ricordato di tornare a me stesso». Questa distinzione tra gli aspetti interni ed esterni della nostra esperienza non è una cosa da poco. Alcune delle caratteristiche più importanti della vita sono “dentro” e non afferrate dai nostri sensi. Non possiamo vedere i pensieri, le scelte o i sentimenti degli altri, per esempio. Sappiamo che gli altri hanno pensieri e sentimenti, ma sappiamo cosa sono solo se ci vengono rivelati attraverso segni o “incarnazioni” di quei pensieri e sentimenti, o se la persona ci dice.
Il materialismo ateo non ha buone spiegazioni per la distinzione interiore-esteriore. Inevitabilmente, gli atei si imbattono in contraddizioni quando provano a spiegare le nostre esperienze mentali con spiegazioni materialistiche. L’influente filosofo del diciottesimo secolo, David Hume, per esempio, negò notoriamente che ci sia qualche prova che esista un sé (“io”) poiché non può essere osservato direttamente con i nostri sensi. Eppure non poteva evitare di usare costantemente la parola “io” nei suoi scritti.
Ad un certo punto, l’ateo sceglie di negare la realtà del mondo spirituale. Anche al di là dei gravi problemi intellettuali sollevati da questa mossa, questa scelta è anche tragica. È tragico perché la vera profondità e bellezza del mondo non possono essere scoperte riducendo tutto alla causalità materiale, ma anzi si possono scoprire solo notando che le cose materiali sono tutti segni che puntano oltre se stessi. Il sorriso e la carezza di una madre invitano suo figlio a scoprire l’amore incondizionato. La correzione del comportamento scorretto da parte di un insegnante invita lo studente a scoprire la legge morale. Il mondo che cambia intorno a noi ci invita a considerare la fonte immutabile ed eterna di tutti gli esseri dipendenti: Dio.
Preghiamo che, con sant’Agostino, sia gli atei che i teisti tornino alle misteriose profondità delle loro stesse anime e scoprano il mondo materiale come una vasta raccolta di segni che ci indicano un altro regno. Attraverso questa stessa anima possiamo raggiungere il Dio che è la fonte di tutto. Dopotutto, il Catechismo della Chiesa Cattolica nota che tutti i modi di venire alla scoperta di Dio trovano il loro punto di partenza o riflettendo sul mondo fisico esterno o meditando sui vari segni della nostra anima spirituale interiore (31-32). Riflettendo sul mondo fisico, consapevoli che lo facciamo come anima spirituale, apprendiamo che ogni cosa ci parla di Dio (Salmo 19: 1-2). di Mark A. McNeil – Catholic.com
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