La Pontificia Università Urbaniana ha dedicato la propria aula magna a Papa Benedetto XVI con una cerimonia svoltasi il 21 ottobre, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico dell’ateneo. All'evento ha partecipato l’arcivescovo Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia, che ha dato lettura di un messaggio scritto per l’occasione dal Papa emerito, del quale il presule è segretario particolare. Nel messaggio il Papa emerito tra l'altro scrive:
«Il Signore Risorto incaricò i suoi Apostoli, e tramite loro i discepoli di tutti i tempi, di portare la sua parola sino ai confini della terra e di fare suoi discepoli gli uomini. Il Concilio Vaticano II, riprendendo, nel decreto “Ad gentes”, una tradizione costante, ha messo in luce le profonde ragioni di questo compito missionario e lo ha così assegnato con forza rinnovata alla Chiesa di oggi.
«Ma vale davvero ancora? – si chiedono in molti, oggi, dentro e fuori la Chiesa – davvero la missione è ancora attuale? Non sarebbe più appropriato incontrarsi nel dialogo tra le religioni e servire insieme la causa della pace nel mondo? La contro-domanda è: il dialogo può sostituire la missione? Oggi in molti, in effetti, sono dell’idea che le religioni dovrebbero rispettarsi a vicenda e, nel dialogo tra loro, divenire una comune forza di pace. In questo modo di pensare, il più delle volte si dà per presupposto che le diverse religioni siano varianti di un’unica e medesima realtà; che “religione” sia il genere comune, che assume forme differenti a secondo delle differenti culture, ma esprime comunque una medesima realtà. La questione della verità, quella che in origine mosse i cristiani più di tutto il resto, qui viene messa tra parentesi. Si presuppone che l’autentica verità su Dio, in ultima analisi, sia irraggiungibile e che tutt’al più si possa rendere presente ciò che è ineffabile solo con una varietà di simboli. Questa rinuncia alla verità sembra realistica e utile alla pace fra le religioni nel mondo.
«E tuttavia essa è letale per la fede. Infatti, la fede perde il suo carattere vincolante e la sua serietà, se tutto si riduce a simboli in fondo interscambiabili, capaci di rimandare solo da lontano all’inaccessibile mistero del divino».