XXII Domenica del Tempo ordinario – Vangelo Lc 14,1.7-14
L’umiltà è una virtù richiamata dal Siracide. Umiltà è anche saper stare al proprio posto. Chi sta al proprio posto riconosce la grandezza di Dio che fa sempre tutto bene. Il superbo non riconosce l’onnipotenza di Dio, non accetta la Sua volontà. Cosciente o meno si ritiene superiore a tutti, anche a Dio stesso. Il superbo è colui che imita Satana, il nemico di Dio, che desiderava solo essere come Lui. Per questo il Siracide sconsolatamente afferma che per il superbo non c’è rimedio: non accetterà mai la verità sulla propria condizione e vivrà in una frustrazione perenne per voler essere quel che non sarà mai!
L’autore della lettera agli Ebrei ci rammenta che la nostra fede non è basata su idoli che si toccano e nemmeno su eventi della natura che, per quanto portentosi ed incontrollabili dall’uomo, non sono che ‘creature’.
Noi però non siamo come i nostri antenati nella fede che tremavano all’udire la voce di Dio lasciando che fosse Mosè stesso l’unico intermediario. Noi abbiamo avuto la possibilità di entrare in un rapporto personale con Dio attraverso Suo figlio. Questo brano vuole incoraggiarci ed esaltarci, ma soprattutto glorificare Dio che ha voluto avvicinarsi benevolmente a noi. Nell’insieme delle letture odierne ciò che conta è saper riconoscere la nostra condizione, la nostra elezione, il nostro posto, in funzione di Dio per non insuperbirsi.
Gesù ci insegna come dobbiamo comportarci utilizzando una situazione della vita del Suo tempo presente anche nel nostro. Purtroppo è vero che spesso accade di invitare solo chi potrà poi ricambiare l’invito. Gesù provoca suggerendo di invitare gli emarginati della società, coloro che non potranno mai ricambiare. Allo stesso modo, chi partecipa ad un grande evento deve stare attento a non cercare i posti migliori. Gesù fa riflettere sulla cattiva impressione che può fare l’invitato che ambisce a farsi notare: egli rischia di essere richiamato dal padrone di casa che gli dirà di mettersi da parte per lascare il posto a chi davvero lo merita. In questo modo Gesù vuole rafforzare l’insegnamento con l’indicazione della “pena”. È quello che il Signore fa sempre quando ci vuole indicare il cammino della santità. Chi non lo percorre finisce all’inferno. L’insegnamento di Cristo non deve valere però solo per evitare la punizione. Gli umili, come ricorda il Siracide, sono coloro che glorificano Dio. Il nostro fine non deve, o non dovrebbe essere solo, evitare la punizione. Dovremmo essere felici di poter conoscere la Verità, la verità su noi stessi e sul senso della nostra esistenza, e lodare il Signore per la Sua grandezza, ringraziandoLo per tutto quello che ha fatto per noi. Gesù lo afferma proprio alla fine di questo brano: riceverai la ricompensa quando giungerà la resurrezione dei giusti.
Nel mondo in cui viviamo, spesso ci troviamo in situazioni nelle quali occorre primeggiare. Si vive in una continua competizione per la quale occorre superare gli altri. La logica del vangelo non vuole che ci focalizziamo sulla gara in sé, ma sulla meta da raggiungere. Lo ricorda anche San Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede” (2Tim 4,7). Siamo chiamati a cercare di fare sempre del nostro meglio, secondo coscienza, senza lasciarci ingannare dalla mentalità del mondo. Anche se umanamente si rischiasse perdere la reputazione, ricordiamoci che chi conosce profondamente il nostro cuore e ci giudicherà secondo verità e amore, sarà solo Lui, il nostro giudice supremo, Colui che ci premierà con l’alloro più importante, l’unico che conta.
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