XXVI DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Vangelo Lc 16,19-31
Quando si congeda la salma al termine della messa dei morti e si accompagna alla sepoltura, il sacerdote innalza preghiere che parlano della presenza degli angeli e dei santi. La liturgia romana attribuisce in modo peculiare a San Michele il compito di guida al cielo, facendo seguito alle religioni pagane che pensavano che l’anima fosse condotta all’altra vita da una guida.
Anche Gesù nel Vangelo di Luca condivide questa rappresentazione quando afferma che il povero Lazzaro fu condotto dagli angeli nel seno di Abramo – la nuova traduzione dice ‘accanto ad Abramo’. Tale luogo rappresenta una condizione provvisoria di benessere da cui l’anima, alla risurrezione finale, passerà in lucem sanctam, cioè al cospetto di Dio.
Accanto a San Michele, che la liturgia vuole come principale accompagnatore e pesatore delle anime, durante il corteo funebre la liturgia invoca i martiri e tutti i santi insieme agli angeli. Assai significativo a questo proposito è l’In Paradisum, antifona che si esegue al termine della Messa funebre:
In paradisum deducant te angeli: in tuo adventu suscipiant te martyres et perducant te in civitatem sanctam Ierusalem. Chorus Angelorum te suscipiat et cum Lazaro quondam paupere aeternam habeas requiem.
«In Paradiso ti accompagnino gli angeli, al tuo arrivo ti accolgano i martiri e ti conducano nella santa Gerusalemme. Ti accolga il coro degli angeli e con Lazzaro povero in terra tu possa godere il riposo eterno nel cielo».
Gli angeli e i santi devono guidare l’anima fino alla Città del cielo. Partendo dalla liturgia funebre intuiamo il legame che intercorre fra la concezione dell’aldilà, il culto dei santi e il valore delle nostre relazioni e delle nostre scelte di vita.
Il povero Lazzaro era infatti alla porta del ricco proprio per farlo diventare santo, era l’occasione offertagli dalla provvidenza per potersi accorgere di un fratello, di cui perfino i cani avevano pietà e a cui cercavano di dare sollievo leccandogli le piaghe. Ma lui no: ricco, indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, ogni giorno si dava a lauti banchetti. I piaceri sono la vita del ricco e le cose di cui si circonda lo rendono senza pietà e senza nome, perché quando viviamo solo per noi stessi perdiamo la nostra identità: siamo stati creati per essere in relazione con Dio e gli uni con gli altri. La Trinità santa, unico Dio in tre persone, è il modello della nostra vita umana: il povero Lazzaro ha un nome ed entra nella compagnia di Abramo e degli angeli santi, perché la sua povertà gli ha aperto il cuore, lo ha reso consapevole di essere bisognoso, non solo di cose, ma soprattutto dell’amore di Dio e dei fratelli.
Tutti siamo mendicanti, bisognosi di Dio e dei fratelli, ma solo se ce ne rendiamo conto possiamo aprirci a loro e avere in eredità la vita eterna.
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