III Domenica di Avvento – (Mt 11,2-11)
Continuiamo il nostro pellegrinaggio incontro al Signore che viene, incontrando anche in questa domenica la figura del Battista, benché in un contesto diverso. La voce è stata zittita, il profeta ammutolito, il deserto non più affollato torna a essere luogo di serpenti e di venti, il Giordano dopo essere diventato sorgente impetuosa di conversione torna a scorrere indisturbato: Giovanni è in prigione!
È sempre così quando l’uomo si pone in contrapposizione a Dio, quando non fa la Sua volontà, quando vuole dettare l’agenda a Colui dal qual viene ogni cosa. È la tentazione antica dell’uomo che vuol farsi Dio, mentre invece è Dio che si fa uomo, per renderci come Lui, che si dona a noi per riconciliarci a Lui.
C’è sempre tanta difficoltà nel riconoscere i tempi, i modi, i pensieri, i sogni, l’agire di Dio. È la difficoltà che ha invaso anche il cuore e la mente di Giovanni che, seppur isolato, sente parlare di Gesù, del Messia e del suo agire. Giovanni è turbato: la scure annunciata come segno del giudizio imminente sembra aver lasciato il posto alla misericordia e l’ira del ventilabro agitato, per vagliare il grano dalla pula, sembra smentita dal parlare dimesso, quasi sottovoce, di Gesù e dal suo ministero rivolto ai piccoli, agli ultimi, ai peccatori.
Giovanni abituato alle affermazioni, agli imperativi, agli esclamativi, pone una domanda: “Sei tu quello che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Così una delegazione del Battista giunge da Gesù. Il Battista che aveva indicato il Cristo come “l’Agnello” resta turbato dalla Sua mitezza, lui che aveva annunciato l’imminenza del Regno, resta sorpreso dalla Suo attestarsi, dalla Sua venuta come seme che germoglia nel buio, come lievito che segretamente fa fermentare la massa.
Gesù risponde citando Isaia che aveva annunciato il Messia come liberatore per ciechi, lebbrosi, zoppi, poveri, morti cui è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in Gesù motivo di scandalo.
Si impone allora una domanda: noi chi stiamo aspettando? Il rischio dell’uomo è quello di voler un Dio a propria immagine e somiglianza, non riconoscendo il dono meraviglioso di essere fatti a immagine e somiglianza Sua. Il dubbio del Battista ci mette in guardia davanti al pericolo sempre incombente di proiettare su Dio i nostri desideri, col rischio di restare delusi e di non incontrarLo con le modalità con cui Egli sceglie di venirci incontro e di salvarci.
L’Avvento, allora, da cammino si fa scuola, alla quale siamo chiamati a stare per imparare ad accogliere Dio per come è, per ciò che è; e con Lui la sua Santa volontà che, come dice Dante, “è la nostra pace”.
Anche in questo Avvento abbiamo dei desideri, delle richieste, delle aspettative, delle attese, formulate – perché no? – in una lettera indirizzata a Gesù Bambino. Sono richieste per noi, per la nostra famiglia, per chi ci sta particolarmente a cuore, per una persona che soffre, per la nostra parrocchia, per la Chiesa, per i popoli martoriati dalla guerra, per il mondo intero. Sono richieste che portano in sé desideri anche saggi, buoni, addirittura santi, ma non è assicurato che ci verranno donati in questo Natale già alle porte.
Non che sia vietato chiedere e scrivere lettere da imbucare in vista del Natale, anzi forse è doveroso. Tuttavia, dopo averle scritte, lasciamo a Dio il compito di indirizzare la storia a modo Suo e di rivelarsi con le modalità che riterrà opportune per noi in questo Natale. Riscopriamoci creature nelle mani del Creatore. A noi è chiesto di aprire il cuore, di approntare una culla, di preparare un corredo, di allestire un presepe, ma non è detto che Gesù nascerà sul cuscino di velluto che abbiamo sistemato al posto della paglia. Certo è che Egli verrà e non tarderà!
Sia lodato Gesù Cristo!
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