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22.12.2024

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La predica corta della domenica – Non si può tacere, depotenziare o relativizzare il nome di Gesù
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1 Maggio 2022

La predica corta della domenica – Non si può tacere, depotenziare o relativizzare il nome di Gesù

III Domenica di Pasqua

In questa terza domenica di Pasqua, la liturgia della Parola ci offre diversi spunti di meditazione. Io ne vorrei sottolineare due.

Il primo: un nome per cui patire e gioire. Nella prima lettura infatti, tratta dagli Atti degli Apostoli, si dice che gli stessi apostoli furono arrestati dal sinedrio con l’accusa di aver “riempito Gerusalemme” dell’insegnamento impartito nel nome di Gesù nonostante fosse stato loro precedentemente proibito. Si dice ancora che essi furono perciò fatti flagellare e che rimessi in libertà non senza ulteriori minacce, questi se ne andarono «lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù». Il nome di Gesù non è un nome di un morto né di un morituro: é il nome del vivente. Dopo la resurrezione, questo nome ha assunto una potenza redentrice e salvifica che non ha eguali. Come insegna San Paolo, Gesù dopo l’umiliazione della croce ha ricevuto dal Padre «il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» ( Fil 2, 9.11) . Lo stesso san Pietro, nelle sue prime catechesi da Papa ribadì con forza lo stesso concetto: «In nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» ( At 4.12) . La Chiesa pertanto, alla luce di questa parola, non può fare un annuncio implicito dove il nome di Gesù, vero Dio e vero uomo, venga taciuto, relativizzato o depotenziato. Qui ciascuno può e deve farsi un esame di coscienza per verificare quale sia il suo rapporto col nome di Gesù, quale valore gli attribuisca, quale spessore gli riconosca. Detto più semplicemente: per me Gesù è un nome per il quale vale la pena soffrire e gioire?

Di qui viene il secondo aspetto che vorrei sottolineare: Gesù vuol dire «Dio che salva». Nel Vangelo, san Pietro, fresco di rinnegamento, ma già reso penitente dallo sguardo di Cristo, che nel cortile del Sommo Sacerdote lo aveva ferito per guarirlo, ci offre una testimonianza vivente della potenza del nome di Gesù. Egli infatti ha sperimentato la potenza del suo nome, che Gesù è realmente il Dio che salva gratuitamente. Per questo poteva affermare di amare Gesù senza millantare, come aveva fatto in precedenza. Sapeva, non per sentito dire, ma di persona, che Dio ci ama e ci salva. E ci dà la capacità di amare.

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