VII Domenica del Tempo ordinario – Vangelo Mt 5,38-48
«Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? (…) Che cosa fate di straordinario?»
La parola che colpisce in questo difficile Vangelo è “straordinario”.
Doveva essere così anche per i discepoli che lo ascoltavano stupiti e commossi. Matteo, Tommaso, Bartolomeo, Giuda, Simone, lo zelota, Giacomo e Giovanni…Sono loro, in fondo, che “hanno inteso fino ad ora occhio per occhio”. Loro, il popolo d’Israele. Adesso, si sentono dire: «Che cosa fate di straordinario?»
“Occhio per occhio” è una limitazione, è un argine. È una misura di contenimento, di giustizia. Non è come si pensa in maniera un po’ grossolana, una giustizia primitiva e brutale.
Se per l’audio che non si sente in cuffia, uno rovescia il palco dell’Ariston (al di là che fosse o meno una messa in scena orchestrata) io non so di cosa sarei capace se uno mi colpisse o peggio colpisse i miei cari? Il male va ripagato con la stessa moneta e magari con gli interessi.
Ebbene, Giacomo, Taddeo, Filippo, Andrea e Pietro ascoltano uno che dice loro che non basta essere giusti, “occhio per occhio”. Non basta vivere in modo giusto.
Una volta venni chiamato per una causa di lavoro in tribunale. Dopo un tentativo di conciliazione tra le parti non riuscito, la causa è andata avanti. Quando mi sono trovato in giudizio, accanto alla persona che mi aveva accusato, ho compreso che non mi interessava vincere o perdere. Nonostante, il giudice mi abbia dato ragione su tutta la linea condannando la controparte a pagare persino le spese, sentivo che la vera giustizia sarebbe stata abbracciarla. Non lo feci. Mi attenni ad una forma, composta. Sono uscito dal tribunale vincitore della causa, ma sconfitto perché avrei voluto dire a quella persona che le volevo bene.
Io non sono fatto per l’ordinario. Non sono fatto nemmeno semplicemente per la giustizia. D’altra parte, Gesù ha detto “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei non entrerete nel Regno dei Cieli”. So bene che la mia natura ospita un fastidioso e opportunista mistero che mi fa essere cordiale con chi è cordiale con me, ma allo stesso tempo mi fa essere scontroso con chi è arrogante con me. Sono abbastanza bravo a voler bene a chi mi vuol bene almeno quanto lo sono a eliminare gli altri dalla mia vita quando la loro presenza mi irrita. E quando non riesco o non posso ad allontanarli, sono bravissimo a coltivare risentimento, giudizio, disprezzo. Peraltro, trovo sempre ragioni per darmi ragione e poter giustificare ogni mio atteggiamento. Il male che vedi negli altri è il medesimo che hai te stesso nel cuore.
Marco Mengoni è un cantante bravissimo. Ha vinto Sanremo. Alcuni anni fa, fece una canzone il cui ritornello è “Credo negli esseri umani”. In quegli stessi anni, il dramma dei profughi era accompagnato da un simile slogan: “Restiamo umani”.
«Amate i vostri nemici affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli».
La dolce violenza delle parole di Gesù sembra dirci: “Non basta restare umani. È troppo poco. Che cosa fate di straordinario?”.
Siate figli del Padre vostro. Siete luce del mondo e sale della terra. Siate ciò che siete.
Gesù dice parole che parlano di sé e fissa i discepoli come di chi conosce la loro più vera natura.
E’ così normale per i figli di questo mondo tirare una bomba se uno te ne tira una, e magari se qualcuno ti arma, tirarne anche due, cercando di fare ancor più male. Ai figli di Dio non basta “restare umani”.
Come Luciano, tradito e lasciato dalla moglie. Comincia a vivere vendicandosi del dolore che ha patito vivendo rapporti banali con ogni donna che gli capita a tiro e avendo con la madre dei suoi figli un rapporto mediato da avvocati. Poi, l’incontro con Cristo e degli amici che gli fanno intravvedere un modo diverso di stare dinanzi a questa storia e riconciliarsi con lei, seppur da separati. O come quella donna che è venuta a raccontarmi il dispiacere di non riuscire a perdonare compiutamente suo padre che da piccola le ha fatto violenza. “Lui è morto – mi dice – ma io non sono riuscita ad amarlo. Pensavo di averlo perdonato, ma ho ancora del marcio dentro di me. E mi dispiace. Vorrei liberarmi e perdonarlo del tutto. Dio mi ha accompagnato guarendo la mia ferita”. Umanamente parlando ci verrebbe da dire che, in fondo, questa donna ha ragioni da vendere per essere risentita con suo padre. Io mi sono commosso perché ho visto che lo straordinario è possibile.
Da dove nasce questa possibilità? Com’è possibile vivere così?
È possibile solo “tenendo fisso lo sguardo su Gesù” come dovevano averlo i discepoli quel giorno. Gesù è lo straordinario di Dio che facendosi carne è divenuto ordinario della nostra storia. Non basta credere negli esseri umani. Io credo in Gesù, il Figlio di Dio, il più compiuto tra gli uomini.
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