IV Domenica di Pasqua (Gv 10, 1-10)
La figura del pastore buono, del pastore “quello giusto” per le pecore, non ha nulla di bucolico, di agreste. E a giudicare dalla reazione che seguirà alle parole di Nostro Signore che ascoltiamo in questa domenica, i suoi primi ascoltatori subito lo intuirono, accusandoLo – pur essendoci dissenso tra loro – di essere «indemoniato e […] fuori di sé» (Gv 10, 20). Nell’Antico Testamento infatti i profeti più volte accusano i responsabili del popolo di essere cattivi pastori (cfr. Ez 34, 2-3; Ger 23, 1-2, ad esempio); il Faraone stesso – immagine del governante tiranno e negativo per Israele – era chiamato “pastore di tutte le genti” e si faceva rappresentare, come segno del proprio potere, con in mano un vincastro, il bastone ricurvo del conduttore di greggi. La Bibbia invece indica solo Dio come pastore buono: «Il Signore Dio […] come un pastore fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40, 10.11).
Quindi la similitudine che Gesù usa innanzitutto rivela con forza tutta la Sua pretesa: Egli è la guida, il sovrano che è definitivo e adeguato per il popolo radunato, convocato. Non solo: Egli conosce il nome, il destino, l’identità di ciascuna pecora. Noi non siamo generati da una serie di eventi che ci determinano inesorabilmente e non siamo sacrificabili perché il pastore possa mantenere il potere e pascersi; al contrario, il pastore “quello buono” conosce ciascuno fino in fondo, offrendoSi a una relazione personale, donando la propria vita per la vita delle pecore che sono chiamate a seguirLo (Gv 10, 4) per la propria salvezza (Gv 10, 9).
Perché seguirLo? Perché dobbiamo essere salvati. Se non partiamo dalla consapevolezza del nostro peccato, del nostro bisogno di essere perdonati, l’immagine del pastore buono è davvero puramente stucchevole o destinata a diventare un modello irraggiungibile o stemperato. «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia; dalle sue piaghe siete stati guariti. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime» (1Pt 2, 24-25): le parole drammatiche di san Pietro che abbiamo ascoltato nella seconda lettura ci richiamano alla serietà della nostra condizione e all’urgenza della sequela di Cristo.
Per essere Suoi, non basta un vago sentimento o un’imprecisa indicazione morale alla “bontà”: serve una decisione alla sequela, un’obbedienza a Lui, vivo e risorto. Questa, parte dalla consapevolezza della nostra capacità di ingiustizia, in ogni momento: il gregge, abbandonato a se stesso, rischia di entrare in un vortice di disordine che può condurlo anche su un precipizio e alla morte. Quindi è necessario ascoltare la voce del pastore buono, perché ci conduca alla vita con pienezza: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?» (Mc 10, 17).
Certo, non mancano ladri e briganti, oggi come sempre («Salvatevi da questa generazione perversa!» ci ha detto la prima lettura riportando le parole di san Pietro negli Atti degli Apostoli), sovente facilitati dal conformismo delle pecore e dal loro silenzio; essi vengono ancora da ogni parte «per rubare, uccidere e distruggere», anche usando la nostra paura, la nostra codardia, la nostra poca fiducia nel pastore buono. Ma apparteniamo al gregge dei “chiamati” (1Pt 2, 21), dei “guariti” (1Pt 2, 24), dei redenti da Colui che ha dato la vita per noi “perché abbiamo la vita e l’abbiamo in abbondanza” (cfr. Gv 10, 10). Questa è il motivo della nostra speranza e della nostra gioia, questo è il motivo per cui tendiamo l’orecchio per udire la Sua voce tra mille voci e Gli offriamo la nostra obbedienza, pur nella consapevolezza di essere spesso pecore recalcitranti, ma tanto amate.
La Sua Rivelazione è l’amore potente di Cristo che viene incontro alla nostra libertà, abbracciandola. Preghiamo il “pastore e custode delle anime” perché faccia ardere il nostro cuore per seguirLo e faccia udire la Sua voce a tanti nostri fratelli che ancora la desiderano. «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 23, 4).
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