Gesù Cristo Re dell’universo – Vangelo Luca (23, 35-43)
Mi riattizzo la pipa e medito: il Vangelo del buon ladrone promosso sul campo in Paradiso mi fa pensoso. La plumbea giornata confonde il color del cielo col fumo cilestrino che esce dalle mie boccate, riportandomi alla scena più drammatica della storia umana: quasi fosse a uno spettacolo, il popolo stava a vedere il Crocifisso agonizzante.
È tanto facile che le masse cambino parere, eppur dovrebbe angustiare la celerità del passaggio, una manciata di giorni, di chi dal gridar Osanna varia l’urlo in un Crucifige. I capi, invece, insieme ai soldati, deridevano Gesù. Mi par di sentire il commento del Manzoni, vergato nella trama del suo romanzo: «I provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che, in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi». Sono passati duemila anni e il mondo, pur girando senza sosta, pare non essere mutato affatto. Però, c’è un però: è la speranza di un uomo, di un malfattore, che se la prende con il suo compare per l’insulto ignominioso rivolto al Salvatore, riconoscendo altresì la giusta condanna a loro comminata. Solo per questo meriterebbe un monumento: è pratica ormai scomparsa quella di riconoscere le proprie colpe.
Nondimeno, l’impeto non s’arresta, assolve – lui furfante – il Giudice universale: egli non ha fatto nulla di male. Del resto, qualcosa aveva combinato, come giunge a dire con audacia sant’Ambrogio, descrivendo il Redentore un eccellente bonus latro, perché ha teso un agguato al diavolo e gli ha portato via il suo bottino. Mi alzo pensieroso e recupero un libro impolverato, mentre tiro ancora nella cannuccia e il fornello s’arrossa incandescente. Scorro con le dita le righe del volume stilato dall’amico Giorgio Torelli e declamo ad alta voce, affinché possa risuonare nel profondo la vicenda di quel morente toccato dalla grazia: «Il ladrone si arruola nei santi perché non maledice la sua stessa croce, ma sa scegliere il Cristo meno trionfante, dissanguato, messo a tortura. Lo vede perdere e gli offre subito quel che possiede: lo slancio finale di un’esistenza stravolta, il trasalimento di chi comprende tutto mentre il freddo della fine già gli percorre il corpo e lo riga di lacrime».
Mi convinco compiaciuto dell’anelito di bene che ogni creatura possiede, mentre, aspirando, il tabacco mi impasta la lingua. Ma c’è di più, m’avvedo. Il buon ladrone afferra il miracolo dell’amore non da disperato, ma ricolmo di fiducia: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno. La risposta commuove: In verità io ti dico: oggi con me sarai nel paradiso. La parola del Messia allarga l’animo: tutti possiamo ricevere misericordia se riconosciamo i nostri peccati. Riprendo le polverose pagine tra le mani: «Del ladrone non so nulla, neppure come si chiamasse e quali colpe l’avessero voluto in croce. Il Vangelo non serve i particolari. Di un ladrone, basta conoscere che il cielo gli si è spalancato. Così che ogni uomo, per supponente che sia (e si è ladri anche dei giorni sottratti alla sovranità di Dio, negandosi alla sua evidenza), sappia che gli spetta l’ultima parola, la stretta degli addii. Basterà che dica, pensi, voglia e dilati: Signore, accetta anche me».
Il tenue fuoco nella pipa si spegne con garbo, scintillando a ritmo del respiro. Un ultimo rivolo di fumo cinerino si alza verso il cielo e il mio spirito l’imita. Mi rassicuro: in fondo, ritrovarsi col Padre (Eterno) non decreta tanto la fine, ma il fine della vita. Nel volteggiare di nuovi ispirati pensieri che a poco a poco sbiadiscono facendosi storia, laddove il discorrere si fa silenzio, mi ritrovo stupefatto, ignorando anch’io come il caro Giorgio che un giorno avrei mai detto a una canaglia: dammi una mano tu, che sei nella giustizia. Eppure, lo sto facendo. E il respiro, pacato, mi seconda.
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