XX Domenica del Tempo ordinario – anno C (Vangelo Lc 12,49-53)
Geremia è profeta e comunica la Verità del Signore. Il profeta non deve dire quello che le persone vorrebbero sentirsi dire. In lui possiamo riconoscere le difficoltà di ogni cristiano che, per essere fedele a Cristo, non omette di dire la Verità sul male che esiste nel mondo e sul bene che si dovrebbe invece compiere. Tale posizione mette in difficoltà il profeta, il cristiano. Nel caso di Geremia possiamo però osservare come Dio lo liberi dalla prigionia attraverso un servo del re che ne ha compassione.
L’autore della lettera agli ebrei descrive il cristiano come colui che abbandona il peccato e si dirige con perseveranza verso il traguardo tenendo lo sguardo fisso su Gesù che è la Via e la Meta. Egli è l’esempio per eccellenza in questo mondo, perseverante fino alla dolorosa morte in croce e poi premiato con la vita eterna e la salvezza di chi lo segue. La sfida proposta è grande e provocatoria: non abbiamo ancora resistito fino al sangue nella nostra lotta contro il peccato. Infatti sarebbe interessante sapere quanti di noi stiano intraprendendo la vera battaglia per la Vita. Non si tratta di vivacchiare per portare la nostra carcassa al suo termine naturale, come chi pensa che ciò che importa sia stare bene su questa terra. Siamo chiamati a lottare contro le creature invisibili che vogliono uccidere la nostra anima. Non sappiamo se Dio vorrà che noi soffriamo le pene di Cristo, ognuno avrà la sua missione, ma se non eliminiamo dalla nostra vita il peccato, non possiamo pensare che stiamo percorrendo il cammino di Dio. Non che sia possibile eliminare da soli il peccato, l’aiuto di Dio è necessario, ma se noi non ci incamminiamo verso la Meta, non avremo il Suo aiuto perché noi stessi Lo stiamo rifiutando con la nostra ricerca di soddisfazioni umane.
Molti vivono nell’illusione che seguire Cristo significhi semplicemente stare bene con gli altri, tollerare tutto quello che gli altri fanno, cercando una pace che è solo l’assenza di conflitti esterni e visibili. La nostra battaglia principale, invece, non si ferma su questo livello. Occorre cercare la vittoria sul male per stare nella Gloria di Dio. Per questo Gesù ci dice che non è venuto a portare la pace, ma la divisione. Questa frase potrebbe far pensare che Gesù voglia fare il gioco del Diavolo, colui che divide, però non è così: mentre il demonio divide e separa da Dio, Gesù divide e separa dal male. Non ci può essere unione davanti a Dio tra un padre e un figlio che percorrono vie opposte rispetto alla vita eterna. Per Gesù è meglio allontanarsi da una madre dedita al peccato, da un figlio che ci vuole portare alla perdizione, da un fratello che ci invita ad offendere Dio. Molte volte Gesù ci ha detto di vivere la povertà di spirito: non solo quella del denaro o delle cose di questo mondo, ma addirittura degli affetti umani. Gesù ci chiede il distacco da tutto ciò che ci lega alla terra per avere la libertà dei figli di Dio. Dio deve essere il centro della nostra esistenza e dobbiamo eliminare dalla nostra vita ciò che può usurpare il Suo posto.
Gesù vuole che il fuoco che è venuto a portare sia acceso. Egli ha portato il fuoco del battesimo. Quel fuoco nuovo della veglia pasquale è la Sua resurrezione. Egli vorrebbe che tutti noi ne venissimo bruciati per essere purificati come oro nel crogiolo.
Chiediamo a Gesù, per intercessione di Maria, che anche noi possiamo essere tra coloro che manifestano la Verità senza timore delle conseguenze umane, nemmeno della separazione dai cari e della morte.
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