Domenica 29 Gennaio 2023 – IV Domenica del Tempo Ordinario
Commento al Vangelo Mt 5, 1-12
Siamo e saremo “beati”, questa è la sintesi programmatica del Vangelo di questa Domenica; le Beatitudini secondo la versione di San Matteo, brano che conosciamo, che citiamo e sentiamo continuamente anche nel nostro discorrere ordinario nella nostra vita lavorativa e familiare. Ecco quindi l’annuncio: “beati”, parola che in ebraico significa soprattutto un invito ad andare avanti, promessa che è sicura e precede quanti vivono una determinata situazione, parola che indica uno stile da assumere, parola che cambia l’orizzonte con il quale si guardano la vita, la realtà, gli altri.
La nostra espressione “beati”, tante volte presente nei salmi e nell’ Antico Testamento, purtroppo non identifica appieno il significato profondo di questo invito poiché non abbiamo un termine italiano che ne sveli adeguatamente il contenuto. “Beati” non vuole essere tanto un aggettivo ma un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può portarci via, né spegnere.
“Beati” ha anche il valore di “benedetti”, espressione utilizzata molto spesso da Gesù in opposizione al “guai”, ed indica, inoltre, qualcosa che non è soltanto un’azione di Dio che rende giusti e salvati nel giorno del giudizio ma che già da ora dà un senso, una speranza certa e gioiosa a chi è destinatario di tale esortazione. L’annuncio di Gesù, così premuroso e allo stesso tempo esortativo si profila come una promessa e un paradigma per la vita del cristiano. Nessuno può dunque pensare alla beatitudine come a una gioia esente da prove e sofferenze, a uno “stare bene” del mondo avulso da una battaglia; essa produce un capovolgimento dei nostri criteri, occorre far spazio ad “un rinascere dall’Alto” che ci ricorda il travaglio e la crescita interiore a cui fu chiamato Nicodemo.
Le Beatitudini si profilano come un manifesto della vocazione cristiana; dobbiamo comprendere che esse si presentano a noi come la possibilità di sperimentare che ciò che si è e che si vive ha senso, fornisce una struttura spirituale alla nostra vita, dà una ragione per cui vale la pena investire la nostra esistenza. Ovviamente questa felicità la misureremo alla fine del nostro cammino, della nostra sequela al Signore, perché durante il cammino è presente, ma a volte può essere minacciata dalle prove, dalle sofferenze, dal nostro peccato che sempre ci mette di fronte alla necessità di attingere al perdono e alla misericordia di Dio. L’esortazione “beati” è, a tutti gli effetti, una promessa perché fatta solennemente da Gesù in vista del regno dei cieli che è una relazione con Dio: essere con Dio, essere suoi figli, così come chi non è beato resta lontano e separato da Dio. Questo regno, dove Dio abita pienamente, è la comunione dei santi del Cielo e della terra, la comunione dei fratelli, dei figli di Dio, che noi cristiani dovremmo vivere con pacifica sicurezza ma che, a causa del nostro limite, non arriviamo neppure a credere con certezza.
Così, dunque, essere puri di cuore, operatori di pace, cercare la mitezza, sopportare la calunnia diventano quelle forme di purificazione che liberano la nostra volontà e purificano la nostra libertà nella ricerca continua della Verità incarnata da Cristo e ci sciolgono dalla tentazione di pensare che il cristiano sia colui che masochisticamente subisce tutto senza fiatare o tutto supera per un compromesso al ribasso dettato dal raggiungimento del quieto vivere ma, al contrario, il cristiano supera ogni tentazione con la forza della beatitudine, con la grazia divina che perfeziona quella natura umana segnata dal peccato ma non corrotta definitivamente da esso. Se il cristiano riceve solo approvazione, applauso, si fermi e si interroghi se è veramente tale; l’ostilità, la calunnia, l’opposizione sono inevitabile conseguenza della beatitudine della Verità. Cercare il consenso è una delle peggiori tentazioni nella chiesa: compiacere tutti per essere da tutti approvati. Portiamo, piuttosto, tutti a Cristo per essere da tutti ricambiati nella comunione di fede.
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