«Tutti i Paesi dell’Unione europea riconoscano i figli di coppie gay», questa la proposta presentata la scorsa settimana dalla Commissione Ue per armonizzare le norme di diritto internazionale privato in materia di filiazione. «La proposta è incentrata sull’interesse superiore e sui diritti del bambino», spiegano da Bruxelles, sottolineando che «la genitorialità stabilita in uno Stato membro dovrebbe essere riconosciuta in tutti gli altri Stati membri, senza alcuna procedura speciale», incluso il riconoscimento per i «genitori dello stesso sesso». In poche parole, se una famiglia omogenitoriale è riconosciuta per legge in almeno uno Stato membro, automaticamente deve esserlo in tutti gli Stati membri. Senza se e senza ma.
Sebbene i toni utilizzati suonino come un imperativo che sappiamo bene dietro nasconde una dittatura ideologica di potere, c’è chi dice no. E questo ci dà un barlume di speranza, visto che l’eventuale approvazione del testo dovrà avvenire all’unanimità, come previsto dalle norme del Consiglio d’Europa. Il segretario di stato per la giustizia, Sebastian Kaleta, ha avvertito che questo non accadrà sotto l’attuale governo polacco, dichiarando che metterà un veto alla proposta della Commissione. È evidente, a un occhio critico e attento, che questa proposta non mira alla vera tutela del bambino, ma piuttosto a sostenere la pratica dell’utero in affitto in ogni Stato dell’Unione europea. Secondo Kaleta, questa legge potrebbe aprire la strada a nuovi regolamenti sul diritto di famiglia, come il riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso o l’idea che esistano una decina di “generi”. E, se pensiamo che solo 14 Stati membri su 27 riconoscono il matrimonio alle coppie dello stesso sesso, non si tratterebbe dello scetticismo di una piccola minoranza.
Svariate perplessità l’ha suscitate anche nel prorettore dell’Università europea di Roma e presidente di Scienza e Vita: «Storicamente, i Paesi hanno conferito all’Unione una delega di sovranità sulle materie economiche. Non sui temi che affondano le loro radici nei valori più profondi di un popolo, come sono quelli che chiamano in causa la famiglia». Spiega poi che è stata l’Italia a porre tra il suo interesse e quello dei genitori la decisione di un giudice che «accerti se il supremo interesse del bimbo sia davvero quello di rimanere con chi l’ha voluto, o meno». Ha citato poi la drammatica realtà dell’utero in affitto, «Si pone un problema di legalità: non solo per l’incertezza della regolamentazione giuridica. Ma anche perché il bimbo generato da una donna che poi l’ha dato ad altri sarebbe tecnicamente adottabile, e dovrebbe ricadere nelle liste di tutte le coppie di genitori che hanno chiesto di avere un bambino. […]. Chi ha ottenuto un bebè affittando un utero all’estero, per eludere il diritto italiano, passerebbe davanti a tutte le coppie in lista d’attesa».
Di chi è l’interesse? Del bambino o di un mondo adulto che accecato dal proprio egoismo manipola la verità? Una madre e un padre, questo è l’unico interesse superiore di ogni bambino che nasce.
(Fonte foto: Facebook)
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