Alle fine dell’agosto del 2022 è morto, in Russia, Mikhail Gorbaciov, ultimo leader dell’Unione Sovietica. Il quotidiano La Repubblica in quei giorni lo ricordava in questo modo: “Il padre della perestroika aveva 91 anni. Fu l’ultimo leader dell’Urss, artefice della fine della guerra fredda. Nel 1990 fu insignito del Nobel per la pace. Il “profondo cordoglio” di Putin, Biden: “Un leader raro””. Pochi però hanno provato a dire qualcosa di meno banale su uno degli uomini che più di tutti ha fatto per mettere fine alla tragedia del comunismo. Eppure Gorbaciov avrebbe molto da dirci, per esempio sull’attuale guerra in Ucraina.
Ho ripescato, tra i miei vecchi ritagli di giornale, alcune sue prese di posizione all’indomani della caduta del muro di Berlino e dell’URSS, che rivelano l’animo di un uomo che ha sperato di contribuire a migliorare il mondo, ma che ora si sente ingannato da quell’Occidente con cui ha voluto dialogare nel modo più franco possibile. Siamo nel 1991 e gli Usa danno avvio al primo conflitto post “guerra fredda”, contro l’Iraq di Saddam Hussein. I motivi oggi sono noti a tutti: l’importanza geopolitica del paese e i suoi immensi giacimenti petroliferi. Ma anche, e Gorbaciov lo intuisce subito, lanciare un messaggio ai russi: ora che voi non siete più in campo, il mondo è nostro! Sta per nascere il bushiano “nuovo ordine mondiale”.
Accade dunque qualcosa di simile a ciò che si era visto dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando gli americani lanciarono l’atomica per dire nel modo più efficace possibile: “ora che l’alleanza è finita, ricordatevi che siamo i più forti siamo noi”. Di fronte alle crescenti ostilità, Gorbaciov prova a mediare, a fermare la guerra, cercando di scongiurare almeno l’attacco da terra, che scatterà ugualmente il 24 febbraio. A sostenerlo c’è Giovanni Paolo II, il papa polacco, fiero anticomunista, ma non per questo incapace di vedere le ipocrisie e le follie dell’Occidente.
Gorbaciov, purtroppo, fallisce. Così Epoca del 6 marzo 1991: “Inutili le trattative di Tarek Aziz, il ministro degli esteri iracheno (cristiano) che a Mosca accetta le proposte formulate da Gorbaciov. “Troppo poco e troppo tardi”, replicano gli americani”, che evidentemente hanno già deciso da tempo. L’allora cardinal Joseph Ratzinger, commentando sulla rivista ciellina 30 Giorni l’espressione “nuovo ordine mondiale” di George Bush, paventa scenari apocalittici da “padrone del mondo”. Passano alcuni anni e la Nato interviene nel conflitto in Kosovo.
Giulio Andreotti, storico esponente della DC, già attivo in politica ai tempi dell’entrata dell’Italia nella Nato, espone spesso le sue perplessità: “E perché sì in Kosovo e no in Ruanda o a difendere i Curdi?”. Il ministro degli Esteri italiano Lamberto Dini e il ministro della Difesa Carlo Scognamiglio esprimono la loro preoccupazione: “L’America non può fare il gendarme del mondo!”.
E Gorbaciov? Intervistato su La Repubblica del 21 aprile 1999, sotto il titolo “Fermiamo la guerra ad ogni costo” va a ruota libera: “Guardiamo in faccia i risultati di queste due prime settimane di guerra. I problemi del Kosovo non sono stati certo risolti. Quanti morti, quanti profughi. Quante vite spezzate. E La Serbia? Completamente distrutta!”. Poi riprende: “Non è un segreto che io mi sono sempre opposto al progetto di allargamento della Nato. Perché era chiaro che cosa sarebbe accaduto. Eravamo usciti dalla guerra fredda, si parlava di cooperazione… Ma bisognava stabilire nuove regole del gioco che non rispondessero solo agli interessi dei più forti… Invece non appena è scomparsa l’URSS si è cominciato a cancellare tutto. Nell’Onu si è cercato un uomo di comodo, come Kofi Annan. Nella Nato si è voluta una marionetta come Solana. E non mi vergogno di usare questa parola. Servivano personaggi comodi che servissero gli interessi di un solo padrone”.
Gorbaciov lo ha capito assai bene: l’intervento della Nato contro un paese filorusso come la Serbia è un ulteriore gesto di arroganza da parte degli Usa e la dimostrazione che si vuole passare da un mondo bipolare ad un mondo unipolare, un “nuovo secolo americano”. Alla fine dell’intervista Gorbaciov fa una previsione: “Noi abbiamo arrestato la guerra fredda. E ora gli altri la fanno da vincitori e ci trascinano nel fango. E’ ora di fermarsi, per quanto difficile sia… Anche in Russia il revanscismo è risorto e il prossimo presidente sarà più nazionalista del passato”.
E’ a questo punto che compare sulla scena Vladimir Putin, il quale, a dire il vero, per molto tempo cerca una triangolazione con l’Europa e gli Usa, senza però farsi mettere all’angolo. L’Italia di Silvio Berlusconi fa da sponda, portando all’accordo Nato-Russia di Pratica di Mare del 2002: la stretta di mano tra Berlusconi, Putin e Bush sembra segnare davvero una possibile rinascita. Ma come noto, tutto è destinato a fallire.
E i papi dopo Giovanni Paolo II? Continuano sulla medesima strada, senza ideologia e con realismo: è noto che Benedetto XVI guardasse con più “simpatia” alla Russia di Putin che agli Usa di Obama, e non solo per le questioni etiche. E’ altrettanto risaputo che Bergoglio ha avuto un ruolo decisivo, proprio giocando di sponda con la Federazione Russa, nell’evitare che Obama, dopo l’inutile e devastante guerra contro la Libia del 2011, ne scatenasse un’altra, dall’esito imprevedibile, in Siria, nel 2013 (ricorrendo come sempre alla scusa delle “armi chimiche” di Assad).
Oggi – davanti ad una guerra che è anche figlia dell’allargamento senza freni della Nato, della rivoluzione arancio-americana del 2004 e del colpo di stato con cui nel 2014 venne abbattuto un presidente che non voleva l’entrata dell’Ucraina nella Nato (ritenendo più utile per il suo paese la neutralità)-, Bergoglio non ha dubbi: vicino alle terribili e angoscianti sofferenze dell’Ucraina, non cessa di ricordare, talora in modo più franco, talora più velatamente, che la Nato ha le sue immense responsabilità, essendo andata “ad abbaiare alle porte della Russia”. Che è poi quanto denunciava, come si è visto, Mikhail Gorbaciov 24 anni orsono!
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