In Paraguay, Papa Francesco ha ascoltato la musica composta quattro secoli fa nelle "Reducciones", le comunità indigene create dai gesuiti per civilizzare ed evangelizzare le popolazioni di quelle terre.
L'avventura musicale delle Riduzioni sfiora l'incredibile, perché seppe integrare il meglio della musica barocca europea del Seicento e del Settecento con l'innato talento musicale degli indigeni guaranì, il tutto nel contesto della celebrazione liturgica. Un capolavoro di "inculturazione" del cristianesimo non al ribasso, ma ai più alti livelli di intelligenza missionaria, di comprensione dello spirito della liturgia e di creazione della vera musica liturgica, quali oggi è raro trovare.
Domenico Zipoli, gesuita non sacerdote, fu il più noto e geniale dei creatori di questo genere musicale, nelle Riduzioni dell'attuale Paraguay e dei paesi contigui.
Ebbene, per una suggestiva coincidenza, le questioni implicate in quello che è stato il genio musicale delle Riduzioni – questioni tutte di stringente attualità – sono state oggetto di un inatteso discorso pronunciato dal papa emerito Benedetto XVI proprio alla vigilia della partenza per le Americhe del suo successore.
Il 4 luglio scorso a Castel Gandolfo, dove si trova per due settimane di vacanza, Joseph Ratzimger è stato insignito dalla Pontificia Università Giovanni Paolo II di Cracovia e dall'Accademia di Musica della stessa città polacca di due lauree "honoris causa" riguardanti proprio il rapporto tra la musica e la liturgia cristiana.
E precisamente ad illustrare questo rapporto egli ha dedicato la lezione di ringraziamento per la doppia laurea (vedi foto).
Benedetto ha preso avvio dal problema di come conciliare "la grande musica sacra" – dal canto gregoriano a Palestrina a Mozart – con la "participatio actuosa" di tutti i fedeli all'azione liturgica. Perché tale conciliazione, pur affermata dal Concilio Vaticano II, è di fatto "in un rapporto di drammatica tensione".
Per rispondere a questo problema irrisolto, Benedetto ha indicato tre "luoghi d'origine" della musica, il terzo dei quali – ha detto – è "l'incontro con il divino".
Ma subito dopo ha messo in evidenza "un pensiero che negli ultimi tempi mi ha preso sempre di più". Ed è il pensiero che "in nessun altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture".
L'elemento distintivo di questa unicità della grande musica occidentale è che essa "trova comunque la sua origine più profonda nella liturgia, nell’incontro con Dio".
Da qui l'affermazione culminante della "lectio" di Ratrzinger:
"Questa musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto un incontro con la verità, con il vero Creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera cristianità, anche se non è affatto necessario che essa venga eseguita sempre e ovunque. D’altro canto è chiaro però anche che essa non può scomparire dalla liturgia e che la sua presenza può essere un modo del tutto speciale di partecipazione alla celebrazione sacra, al mistero della fede".
E ancora:
"Non conosciamo il futuro della nostra cultura e della musica sacra. Ma una cosa mi sembra chiara: dove realmente avviene l’incontro con il Dio vivente che in Cristo viene verso di noi, lì nasce e cresce nuovamente anche la risposta, la cui bellezza viene dalla verità stessa".
I gesuiti delle "Reducciones" del Paraguay o della Bolivia, come il grande Domenico Zipoli ma non solo, proprio di questo sono stati geniali testimoni, pur senza metterlo a tema come Ratzinger ha saputo fare.
Ma oggi la liturgia cattolica, salvo rare eccezioni, è drammaticamente lontana da quel miracoloso equilibrio tra grande musica sacra e "participatio actuosa" dei fedeli che il Vaticano II ha invocato e di cui Giovanni Paolo II ha cercato di dare esempio nei cinque continenti da lui visitati, come il suo successore ha tenuto a ricordare.
Un riascolto intelligente della musica liturgica del "sacro esperimento" sudamericano dei gesuiti del Sei-Settecento ha tutto da insegnare alla Chiesa d'oggi, di ogni regione del mondo.