Il Sabato Santo la Chiesa contempla il mistero del corpo di Cristo giacente nel sepolcro e della discesa del Redentore, in anima e divinità, agli inferi, il luogo che nell’Antico Testamento ebraico era indicato con il termine Sheol e nella versione greca con Hades. È in questo luogo che Gesù annunciò la sua vittoria sulla morte, liberando i giusti.
In questo giorno di attesa e di mancanza, di cui è segno la non celebrazione dell’Eucaristia, un gran numero di fedeli partecipa alle tradizionali processioni che interessano tutto il territorio italiano, probabilmente con una maggiore prevalenza al Sud, e rappresentano il naturale proseguimento di cortei sacri, con in testa la Via Crucis, e di altri riti che si svolgono lungo tutto il tempo quaresimale e della Settimana Santa. Piccoli che camminano mano nella mano con mamma e papà, frotte di fanciulli pieni di vita, frati e suore, sacerdoti e autorità civili, giovani e anziani che partecipano nonostante acciacchi e infermità, vecchiette con l’immancabile rosario. Sono tutti questi volti a formare e tramandare ciò che si chiama devozione popolare, i cui rituali hanno origini che si perdono nel tempo e ci ricordano come l’Italia e in generale l’Europa siano ancora oggi, a dispetto della secolarizzazione, intrise di cattolicesimo ed espressione di una bellezza dal sapore antico (eterno?) che continua ad attrarre. Una devozione, certo, da accompagnare a una fede vissuta davvero, nel senso della logica cristiana dell’et-et, capace di produrre molto frutto.
Si prenda per esempio la «Processione della Pietà» che si fa il Sabato Santo a Molfetta, organizzata dall’Arciconfraternita della Morte, una delle diverse confraternite della città pugliese. Tra melodie funebri e altamente espressivi simulacri di cartapesta – che rappresentano gli apostoli Pietro e Giovanni, la Maddalena e la Veronica, Maria di Cleofa e Maria Salomè – avanza la grande protagonista, la Pietà: la Madonna, dal volto settecentesco, con il Cristo morto tra le sue braccia. La musica alterna tratti di dolore e di speranza. La processione inizia di giorno e va avanti fino a sera, concludendosi prima della Veglia Pasquale.
Quello di Molfetta è solo un esempio tra tantissimi, ognuno con le sue peculiarità: per rimanere in Puglia, si possono ricordare le processioni per il Sabato Santo a Gallipoli, Galatina e Mottola, andando in Sicilia si può citare la Processione dei Misteri di Trapani che inizia alle due del pomeriggio del Venerdì Santo e si protrae per quasi 24 ore, in Calabria ci sono i caratteristici flagellanti o “vattienti” di Nocera Terinese, in Campania è famoso il corteo di Sessa Aurunca, che vede la partecipazione di molte donne vestite a lutto che accompagnano i gruppi della Deposizione e della Pietà: il Cristo di quest’ultimo gruppo ha la caratteristica di essere, come scrive la memoria locale Pietro Perrotta, “ricavato da un unico tronco d’ulivo la cui lavorazione è attribuita dalla tradizione alla mano di un ergastolano pentito”.
Racconti che stanno lì a testimoniare come la trasmissione della fede passi anche attraverso queste forme di devozione, spesso derise o trattate con sufficienza, eppure fondamentali perché perpetuano la presenza pubblica del cristianesimo – la stessa presenza che i salotti laicisti, quelli a cui l’incendio di Notre Dame interessa solo per ragioni “da cartolina”, vorrebbero annullare – rimangono nei cuori di chi vi partecipa (Dio solo sa quanti si sono salvati per la pietà cristiana appresa nell’infanzia e magari riscoperta, con un pentimento salutare, in età adulta) e ci dicono di un popolo che ancora oggi, nonostante tutto, anela al Risorto.
Potrebbe interessarti anche