Sulla questione della vita di fede in questo tempo di epidemia e delle Sante Messe con popolo, che in questo momento non sono possibili per l’emergenza sanitaria in corso, riceviamo dalla nostra collaboratrice Luisella Scrosati questa opinione che pubblichiamo. Per chi volesse leggere altre riflessioni in merito invitiamo a cliccare QUI, QUI e QUI
Di fronte a questa epidemia che stiamo vivendo, dobbiamo avere l’onestà di riconoscere che l’uomo moderno, quello abituato a relazionarsi con gli altri tramite i social e con Dio secondo i criteri di una religione intimistica e fai da te, non ha alcun dubbio. Purtroppo. Noi cattolici dovremmo però avere il coraggio di confrontarci con quanto i nostri padri facevano quando arrivavano epidemie solenni.
Tra il 589 ed il 590, dopo le devastazioni portate dalle invasioni longobarde, l’Italia si trovò a dover affrontare una violenta pestilenza. San Gregorio Magno venne stanato dal suo monastero sul Celio ed eletto pontefice nell’ottobre del 590, perché il suo predecessore, Pelagio II, era morto proprio di peste.
Se la peste era la “spada dell’ira di Dio” – così Gregorio la definiva – che incombeva su tutto il Paese, l’unica cosa sensata da fare era quella di chiamare il popolo a penitenza e conversione. E siccome la peste colpiva un popolo, era il popolo (e non la somma dei singoli) a dover rispondere. Decise così di radunare il popolo romano per una processione penitenziale, che da diverse chiese di Roma confluisse verso la Basilica di Santa Maria Maggiore. I diversi cortei dovevano essere formati da sette cori, secondo la propria appartenenza: clero, monaci, monache, bambini, uomini laici, vedove e donne sposate. Da qui il nome di “litania septiformis”, da non confondere con le Litanie maggiori del 25 aprile, anch’esse volute da questo santo Papa. La Legenda aurea narra che Gregorio vide sopra Castel Sant’Angelo un angelo che riponeva la spada nel fodero e comprese che la pestilenza era finita.
Rimaniamo nella stessa area geografica, ma mille anni dopo. Ancora una volta, una grave pestilenza aveva colpito la Città eterna. Correva l’anno 1522. Il popolo romano si ricordò che tre anni prima, nella chiesa di San Marcello, c’era stato un violento incendio che aveva devastato tutto. O quasi. L’unico “sopravvissuto” era stato il Crocifisso ligneo (quello che è stato portato in Piazza San Pietro in occasione della preghiera voluta da papa Francesco). Da allora, un’aura di sacralità attorniava questa sacra effigie. Il cardinale Raimondo Vich decise di tradurre nella pratica questo pio desiderio ed organizzò una processione solenne penitenziale con questo Crocifisso miracoloso. A dire il vero, non una. Dal 4 al 20 agosto, ogni giorno. Ed il 20 agosto la peste cessò.
Stesso secolo (1576), ma risalendo un po’ lo Stivale. Milano e la peste di San Carlo. Anche il Borromeo era convinto che la peste fosse un flagello permesso da Dio. La soluzione, dunque, non poteva che essere quella della penitenza pubblica. Nonostante l’enorme resistenza delle pubbliche autorità, San Carlo dispose che il 3, il 4 ed il 6 ottobre si facessero delle processioni penitenziali; lui in testa, coi piedi scalzi. Poi, siccome la peste non cessava e le autorità avevano ordinato la quarantena, San Carlo fece in modo che in diversi punti della città venissero celebrate, all’aperto, delle Sante Messa e si innalzassero preghiere; né fece mai mancare la possibilità della confessione a coloro che erano costretti a rimanere in casa.
Di fronte a queste testimonianze di fede, non riesco a fare a meno di pensare che c’è qualcosa in me, in noi a non funzionare. Si dirà: i tempi sono cambiati, la mentalità è diversa. E questo mi preoccupa, perché il cristiano non è chiamato a seguire i tempi moderni e la mentalità del mondo: è chiamato a conformarsi a Gesù Cristo ed avere la stessa sua mentalità e gli stessi suoi sentimenti. Dov’è il mio cuore? Su cosa si basano i miei ragionamenti?
Il fatto che oggi non si reagisca di fronte alla negazione dei sacramenti, persino nei confronti dei morenti, dei funerali, della privazione delle Messe, anche se possono essere garantite le misure di sicurezza prudenziale, a me preoccupa. E molto più del coronavirus.
Non riesco a rassegnarmi alle Messe online ed alla preghiera privata. Soprattutto perché è possibile coniugare prudenza e fede. Quella vera.
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