«Nella società giapponese, è difficile trovare un successo tangibile nelle attività missionarie». Un’affermazione netta, che lascia poco spazio alle interpretazioni, quella dell’arcivescovo di Tokyo Isao Kikuchi (foto), contenuta in un’intervista ad ampio raggio rilasciata alla Catholic News Agency sul Paese del Sol Levante, che ospiterà la visita di papa Francesco dal 23 al 26 novembre prossimi.
Stando alle statistiche più recenti, in Giappone solamente l’1-2% della popolazione si dichiara cristiana, e metà tra questa è cattolica. Una situazione dunque molto difficile per i seguaci di Cristo in questa terra che fin dal 1500 è stata meta di missioni, ma che nei secoli ha tristemente registrato diverse persecuzioni e bagnato il suolo con il sangue di centinaia di martiri per la fede, alcuni dei quali proclamati santi o beati dalla Chiesa.
Un canale fondamentale attraverso cui il cattolicesimo ha fatto il proprio ingresso in Giappone è quello scolastico; ad oggi, tuttavia, come le parrocchie in costante crisi di sacerdoti, anch’esse hanno perso il loro slancio e la loro funzione in chiave di evangelizzazione: «La scuola cattolica», afferma infatti Kikuchi può essere il luogo in cui incontrare molti giovani, ma sfortunatamente, a eccezione di alcuni, non è diventata un luogo per attività missionarie». Inoltre, prosegue, «sebbene le scuole debbano essere indipendenti dalla politica nazionale, sfortunatamente sono legate ai sussidi del paese, e quindi stanno gradualmente perdendo la loro unicità, rimanendo solo il nome di “cattoliche”».
Negli ultimi anni, ad ogni modo, altri due sono stati i canali di evangelizzazione: i progetti di soccorso attivati in caso di calamità, quali ad esempio il grande terremoto del 2011; e, importantissima, la testimonianza di persone e famiglie cattoliche che si sono trasferite missionarie in Giappone, soprattutto provenienti dalle Filippine, ma non solo. Afferma l’arcivescovo: «Il Vangelo viene predicato attraverso la presenza di cattolici dall’estero che sono venuti in Giappone. In particolare, coloro che si sono stabiliti in matrimonio e hanno costruito le loro case nelle aree rurali rendono possibile che il Vangelo venga portato in aree in cui la Chiesa non ha mai avuto l’opportunità di essere coinvolta». Alla luce di questo, chiosa Kikuchi, «un compito importante, che deve avere la priorità, è quello di incoraggiare i cittadini stranieri che si sono stabiliti in Giappone a prendere coscienza della loro vocazione missionaria come cattolici».
Un’affermazione, questa, che si lega alla domanda che si pone don Antonello Iappica – missionario nel Paese del Sol Levante – sul Timone di novembre: «Come potrà credere un giapponese se non vedrà Cristo vivo nei cristiani?». Anche lì, come d’altronde in ogni angolo della Terra, «c’è bisogno di martiri, testimoni della vita celeste».
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