«”Sesso biologico” espressione controversa». Una presa di posizione così uno si aspetterebbe di leggerla in qualche sito Lgbt o sul blog di qualche attivista queer particolarmente invasato. Invece no: a liquidare l’identità biologica alla stregua d’una varia ed eventuale – quasi fosse una opinione tra tante -, è nientemeno che la CNN che, in un articolo uscito mercoledì 31 marzo a firma di Devan Cole – in cui si dà notizia degli ordini esecutivi della governatrice del South Dakota, Kristi Noem, per far sì che nell’atletica e nell’atletica universitaria le ragazze non debbano più competere con maschi che «si sentono donne» – fa una indiretta ma forte scelta di campo sul piano etico.
Tanto che è lo stesso Cole, nel definire «controverso» il sesso biologico, a mettere il link ad un articolo sul tema di Anne Fausto-Sterling, la quale è sì una biologa, ma non una biologa qualsiasi. L’accademica, infatti, è una femminista di posizioni molto particolari; basti qui dire che si definisce «lesbica» (New York Times, 2.1.2001) e che, in un articolo apparso su The Sciences ancora nel marzo 1993, dichiarava urbi et orbi l’esistenza di cinque sessi: male, female, merm, ferm, herm, con gli ultimi tre riguardanti forme di ermafroditismo. Non tratta insomma della classica biologa super partes. Eppure la CNN la considera un riferimento sicuro arrivando, appunto, a mettere in discussione il sesso biologico come qualcosa di evidentemente superato o, quanto meno, da prender con le molle.
Ora, che cosa insegna o meglio conferma tutto questo? Che i grandi media – la CNN è senza dubbio un colosso dell’informazione – hanno abbandonato da tempo ogni barlume di neutralità, sposando appieno posizioni ultra radicali sui temi etici. Beninteso: questo è solamente l’ultimo esempio di propaganda transgender. Si pensi a quanto pubblicato recentemente dalla celebre rivista Time, che ha esaltato in prima pagina, la fu Ellen – oggi Elliot – Page, con tanto di ritratto ed un titolone che non abbisogna di commenti: «Sono pienamente quello che sono».
Oppure si pensi a quanto accaduto la scorsa estate, quando è uscita la notizia di The Baby-Sitters Club, una nuova serie Neflix destinata ai giovani e molto particolare; si perché narra le vicende di cinque adolescenti alle prese con il baby-sitting e uno dei piccoli accuditi è Bailey, bambino di cui si parla nel quarto episodio, che ha le sembianze di una fanciulla, pur essendo biologicamente maschio. Il 29 gennaio di quest’anno ha invece debuttato su Apple TV+ Palmer, film con una star di prima grandezza – Justin Timberlake – incentrato sulla vicenda del piccolo Sam, interpretato da Ryder Allen, un bambino non a suo agio con la propria identità di genere.
Che la CNN consideri il «”sesso biologico” espressione controversa» non rappresenta insomma nulla di nuovo. Ma come mai questa politicizzazione queer dei media? Una risposta interessante è quella data recentemente da Alberto Contri, docente Comunicazione Sociale allo Iulm di Milano già consigliere della Rai, Ad di Rainet, insomma uno che i media li conosce bene e che afferma che la minoranza Lgbt «continua a essere minoranza nel mondo ma non è più così minoranza nelle stanze dei bottoni dei media, così come nei consigli di amministrazione delle grandi aziende e delle multinazionali, negli organismi politici internazionali e ovunque si prendano decisioni significative».
Questo spiega come mai la CNN, Netflix e tutti gli altri sposino acriticamente, anzi rilancino certe visioni antropologiche radicali e genderiste. E spiega anche perché dovremmo smettere di prender per oro colato tutto quello che arriva dalle colonne o dagli schermi di media che hanno abbandonato da tempo i panni della corretta informazione per indossare quelli della militanza arcobaleno. Che sarà pure politicamente corretta, simpatica e naturalmente «tollerante»: ma resta militanza, e pure di quella intransigente.
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