Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo un breve estratto del libro di Robert Sarah, Catechismo della vita spirituale, edizioni Cantagalli, pag. 336, € 25,00.
[La nostra religione] è diventata un po’ dappertutto insipida e tiepida, senza convinzione e priva di chiarezza nel suo linguaggio diventato confuso e ambiguo. Se, oltre a ciò, la Chiesa investe tutte le proprie energie in questioni mondane per le quali non possiede particolari competenze; se i cristiani elaborano, ciascuno, la propria dottrina e il proprio piccolo magistero; e se, scontrandosi inevitabilmente gli uni contro gli altri, iniziano a odiarsi e a insultarsi volgarmente, offrendo uno spettacolo di odio, risentimento, menzogna, rifiuto, disprezzo e di reciproche umiliazioni, come potrebbero ricondurre il mondo a Dio e proporre il Vangelo come stile di vita e libertà, così che il Verbo di Dio possa costituire una diga, «il rifugio dell’uomo davanti all’onda di piena del male che cresce nel mondo», secondo l’espressione di papa Francesco? (…)
Dando spesso l’impressione di strizzare l’occhio al pensiero globalista, la Chiesa viene vista come un’organizzazione filantropica impegnata tra le altre cose nel servizio dei poveri, nelle questioni sociopolitiche, ambientali, nell’immigrazione, ecc., più di quanto appaia come depositaria delle parole di Colui che ha detto: «Io sono la Via, la Verità e la Vita» (Gv 14,6).
Il suo volto scompare dietro alla noiosa facciata di un’opprimente burocrazia, con le sue assemblee votanti, anche in materia dottrinale, i suoi innumerevoli gruppi e commissioni, i suoi funzionari stipendiati, le sue difficoltà amministrative e finanziarie, in mezzo alle quali essa sembra aver smarrito il senso della sua missione. (…)
Questo stato irriconoscibile del volto della Chiesa al servizio del pacifismo, dell’ecologia e dell’egualitarismo religioso promossi da organismi internazionali era stato come profetizzato
più di un secolo fa da Vladimir Soloviev ne I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo. Egli preannunciava che sarebbe venuto il giorno in cui il cristianesimo avrebbe avuto la tendenza a ridurre il fatto salvifico – che può essere accolto solo con un atto di fede, difficile e coraggioso –, a una serie di «valori» facili da smerciare sul mercato del mondo. Un cristianesimo che parlasse di «valori» ampiamente condivisi risulterebbe certamente più accettabile nei salotti delle élite al potere, nelle manifestazioni sociali e politiche, nei programmi televisivi; ma può la Chiesa rinunciare al cristianesimo di Gesù Cristo, che nasce dallo scandalo della Croce e dalla sconvolgente realtà della Risurrezione del Signore? (…)
Ci sono valori assoluti, quelli che i filosofi chiamano trascendentali: l’uno, il vero, il buono, il bello. Chi li percepisce, li onora e li ama, percepisce, onora e ama Gesù Cristo, anche se non lo sa, anche se si crede ateo, perché, in realtà, Cristo è la verità, la giustizia, la bellezza stessa. Ci sono, però, anche valori relativi come la solidarietà, la pace, il rispetto per la natura, il dialogo, che richiedono un certo discernimento per evitare insidie e ambiguità: ci sono, infatti, anche solidarietà cattive, paci ingannevoli, un culto della natura autodistruttivo e dialoghi sterili. (…)
*Cardinale, prefetto emerito del Culto divino e disciplina dei sacramenti
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