Riportiamo di seguito, integralmente, la traduzione della lettera di un fedele – pubblicata sul sito Belgicatho – rispetto alle nuove aperture dei vescovi di lingua fiamminga di rendere pubblica una sorta di “liturgia” per la benedizione delle coppie omosessuali
«Da non perdere, il 20 settembre i vescovi di lingua olandese hanno pubblicato un clamoroso documentodal titolo “Essere pastoralmente vicini alle persone omosessuali – Per una chiesa accogliente, che non esclude nessuno” [qui testo originale]. Sulla base di una cosiddetta argomentazione pastorale “ampia”, i vescovi fiamminghi propongono, tra l’altro, un “momento di preghiera” in cui le coppie omosessuali cristiane invochino la benedizione di Dio sul loro impegno.
Un documento il cui contenuto non vi sorprenderà, poiché legittima ciò che sta accadendo in molte parrocchie fiamminghe, compresa la mia. Un documento che, dopo un’attenta lettura, merita di essere preso in considerazione. Non tanto per il suo contenuto, che non è certo sorprendente o di intelligenza trascendentale, ma perché rivela effettivamente le debolezze della Chiesa fiamminga e le ragioni profonde che l’hanno portata a emettere questa raccomandazione.
Non vi sorprenderà certo sapere che il documento non insiste sull’importanza della continenza per gli omosessuali. L’abbandono di questo obiettivo è addirittura un obiettivo implicito, se non proprio dichiarato. Su Kerknet [portale delle diocesi della Chiesa Cattolica Romana nelle Fiandre] il nuovo coordinatore di Fede e omosessualità del Centro interdiocesano per la pastorale familiare non ne fa mistero. Commentando gli obiettivi centrali del testo, afferma che “Anche l’esperienza sessuale è un diritto per le persone Lgbt se inquadrata in una relazione fedele e duratura”*.
Oltre a fornire un gradito chiarimento per coloro che hanno dei dubbi sull’argomento, questa frase mette in luce la vera radice del problema: la visione dell’episcopato fiammingo sulla sessualità, problema che va ben oltre la questione omosessuale. La sessualità non è vissuta come l’intima donazione di sé che san Giovanni Paolo II ha così meravigliosamente descritto, ma come un “diritto”.
Non è un’unione sessuale, ma un’“esperienza” sessuale vissuta per se stessa, una dissociazione implicita dai fini del matrimonio. Non è vissuta in e come un’unione sacramentale, ma “nel contesto di una relazione fedele e duratura”. Sembra addirittura presupporre che anche le coppie uomo-donna abbiano “esperienze sessuali” all’interno di “una relazione fedele e duratura”. Il grado di durata non è specificato.
Non è quindi sorprendente o addirittura logico, se questa è la visione della sessualità dell’episcopato fiammingo, che trovi insopportabile “escludere” gli omosessuali da essa, sodomia inclusa. (Vi prego di scusarmi se chiamo le cose con il loro nome). Il secondo punto che risalta è lo svolgimento tipico del “momento di preghiera di amore e fedeltà” proposto dai vescovi fiamminghi. Naturalmente, il testo evita accuratamente di superare un’ulteriore linea di confine e non propone una benedizione esplicita da parte della Chiesa della loro unione omosessuale. Sono le stesse persone omosessuali a invocare la benedizione di Dio sulla loro coppia. Si tratta di una concessione minima e probabilmente indispensabile all’insegnamento della Chiesa, ma pur sempre una concessione.
Ma ciò che colpisce ancora di più è la profonda sdolcinatezza del testo. Così gli “sposi” promettono di “esserci l’uno per l’altro”, di “lavorare per la nostra rispettiva felicità”, di “approfondire il nostro impegno” etc. Mentre la congregazione prega affinché “la loro casa sia piena di pazienza e tolleranza”. Uno sconcertante surrogato di una formula nuziale, dove il kitsch compete con la spensieratezza.
Si potrebbe essere divertiti dal sentimentalismo di queste formule non meno sincere. Si potrebbe essere divertiti dal sentimentalismo di queste formulazioni non meno sincere. Questo sarebbe sgradito, ma non coglierebbe il punto, che è un problema molto più ampio della delicata cura pastorale degli omosessuali. Queste formule mediocri, che riducono la Chiesa a quello che Paul Vaute chiama “un ufficio di buoni sentimenti”, corrispondono alla visione del matrimonio ampiamente diffusa nelle Fiandre e altrove.
Raramente il matrimonio viene vissuto come un sacramento, l’unione sacra, eterna, complementare e feconda di un uomo e di una donna con Dio, ma come un’occasione per formalizzare una relazione di fronte alla famiglia e agli amici e per esprimere più o meno felicemente i propri sentimenti in una forma vagamente sacralizzata. Non sorprende quindi che l’assurdità di un impegno omosessuale sfugga ancora una volta alla Chiesa fiamminga nel suo desiderio di non privilegiare il sentimentalismo o di non fare scalpore.
Molto più che una sfida all’insegnamento della Chiesa o una disputa teologica, questo testo è in realtà solo indicativo di uno stato d’animo generale nell’ambito della pastorale familiare, di cui questo testo è solo un avatar, tutto sommato perfettamente logico. Il problema è profondo e la soluzione non può che essere impegnativa! Per sopravvivere, la Chiesa fiamminga dovrà rinunciare alla pratica sociologica e orientarsi decisamente verso l’evangelizzazione… anche se ciò significa voltare definitivamente le spalle al posto che occupa da tempo e risolversi al martirio, a partire dai media.
Giuseppe (vive nelle Fiandre con la sua famiglia)
*Tralasciamo l’ovvia e comica contraddizione nei termini stessi della frase (come potrebbe una persona “bi” avere una relazione “fedele e duratura”?) e supponiamo che non sia questa l’intenzione dell’autore nell’usare il termine “holebi” (HOmo-LEsbian-BIsexual), che nelle Fiandre è un termine generico per indicare le persone omosessuali».
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