Nel lontano 1972 Karl Rahner, che a quei tempi, anche se lontani da noi oggi, era già Karl Rahner, scrisse un libretto dal titolo “Trasformazione strutturale della Chiesa come compito e come chance”. L’anno successivo fu pubblicato in lingua italiana dalla Queriniana. Il libro era rivolto alla Chiesa di Germania, che aveva appena celebrato il suo sinodo, ma le considerazioni del (già) grande teologo tedesco anticipavano sorprendentemente i tempi e parlavano di noi oggi.
In Italia la DC doveva governare ancora per vent’anni, non si era nemmeno ancora fatto il referendum sul divorzio, Paolo VI aveva appena sconfessato le Acli che a Vallombrosa avevano scelto il socialismo, c’era stato il ’68 sì, ma per le Brigate Rosse mancavano ancora diversi anni, era ancora in corso la guerra del Vietnam. È vero che Paolo VI aveva già parlato del “fumo di satana” entrato nella Chiesa, ma a quell’epoca il sistema sembrava reggere. Era un altro mondo, eppure in questo altro mondo, Rahner pensava già a noi oggi, al nostro mondo e alla nostra Chiesa di oggi. La rilettura di quel libretto fa la nostra fotografia.
Per dire la cosa in sintesi, la Chiesa di Karl Rahner doveva essere declericalizzata, democratica, aperta e dalle porte aperte, strutturata a partire dalla base, ecumenica, che non moralizza. Ecco come egli vedeva la Chiesa del prossimo futuro, oggetto e soggetto insieme di una “trasformazione strutturale”. Non si trattava di una predizione, ma di un “compito” da portare avanti intendendolo come “chance”, come possibilità per la Chiesa di continuare ad essere e ad esserci.
Uno dei concetti chiave espressi nel libretto è quello di Chiesa “aperta”. La cosa viene detta non solo in senso pastorale (aperta nel senso di aperta ad accogliere tutti) ma dottrinale. Secondo Rahner, infatti, l’ortodossia, l’ordine, la chiarezza… sono caratteristiche di una setta. Ma la Chiesa non è una setta e quindi i suoi confini non devono essere chiari né definiti. Essa deve essere “aperta anche dal punto di vista dell’ortodossia”.
E a questo proposito gli esempi che Rahner fa non potrebbero essere più attuali: “non è chiaro perché dei divorziati che si sono risposati dopo un primo matrimonio sacramentale non potrebbero in nessun caso essere riammessi ai sacramenti finché perseverano nel secondo matrimonio in quanto tale; è possibile non ritenere il precetto festivo come un comandamento che Dio avrebbe stabilito sul Sinai dotandolo di una validità perenne; non è neppure possibile stabilire con chiarezza, come a volte si fa, quali possibilità esistano anche per una coscienza cristiana nei confronti delle leggi penali dello Stato contro l’aborto”. Come dicevo, sembra che Rahner qui parli di noi, ora.
Chiesa aperta vuol dire che non sono chiari i confini dell’ortodossia e di conseguenza nemmeno quelli dell’eresia. Anche dentro la Chiesa, dice Rahner, ci sono disparati contenuti di coscienza e opinioni divergenti sul dogma oggettivo. Il pluralismo teologico e dottrinale non costituisce quindi una minaccia, continua Rahner, perché conforme ad una “Chiesa evangelica” “in cui si poteva dire pressappoco tutto e si poteva esprimere pubblicamente quello che si voleva”.
La Chiesa del futuro – sosteneva Rahner nel 1972 – è una Chiesa che si costruisce dal basso, frutto di libera iniziativa ed associazione. Le stesse parrocchie si trasformeranno in questo senso. E a quel punto una comunità di base potrà esprimere un suo “capo adatto a guidarla tratto dal suo seno” e “presentare al Vescovo come suo presidente una persona cresciuta nel suo seno e fornita delle qualità necessarie per tale ufficio, e questa può ricevere validamente l’ordinazione anche se è sposata”. La comunità di base – aggiunge Rahner – potrà esprimere non solo una persona sposata, ma anche una donna: “Non vedo a priori alcun motivo di dare una risposta negativa a questo problema, tenendo conto della società di oggi e ancor più di quella di domani”.
Una Chiesa costruita dal basso sarà anche una Chiesa democratica. Rahner notava nel 1972 che mantenere ridotto il numero degli elettori di un Vescovo garantirà sempre meno in futuro le caratteristiche di ortodossia ed ecclesiasticità del nominato (e purtroppo questo lo abbiamo constatato tutti), dato il pluralismo dottrinale e la particolarizzazione delle comunità di base, quindi si può passare ad un metodo democratico di designazione: c’è “un diritto dei sacerdoti e dei laici di concorrere alle decisioni della Chiesa in maniera deliberativa e non puramente consultiva”. È quanto oggi si chiama con insistenza “sinodalità” e che, secondo Rahner dovrebbe diventare prassi non solo consultiva ma deliberativa.
Di questi tempi molti si saranno stupiti perché molti Pastori non siano intervenuti a proposito di leggi che colpiscono in modo molto duro principi fondamentali della legge morale naturale. Non sono rari i Vescovi e i parroci che non vedono di buon occhio che i cristiani “mostrino i muscoli” (come essi dicono) in pubblico per la difesa dei principi non negoziabili. La spiegazione c’è in queste pagine di Rahner di quarantaquattro anni fa: “morale senza moralizzare”. Per Rahner si “moralizza” quando “si proclamano norme di comportamento in maniera burbera e pedante, con indignazione morale, di fronte ad un mondo immorale senza condurlo realmente a quell’interiore esperienza essenziale dell’uomo che quest’ultimo ha e senza la quale anzi neppure i cosiddetti principi di diritto naturale potrebbero obbligarlo attualmente”.
Uno legge questo libretto di Rahner e capisce da dove veniamo e dove andremo. Ma nonostante molti si siano sforzati in questi quarantaquattro anni di dargli ragione e di agire affinché le sue previsioni si avverassero, anche Rahner non è infallibile.