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La carità  non si vanta. Suor Marianne e suor Margaret: una vita fra i lebbrosi ‘senza fare rumore’
NEWS 5 Maggio 2016    

La carità non si vanta. Suor Marianne e suor Margaret: una vita fra i lebbrosi ‘senza fare rumore’

Seoul (AsiaNews) – Non ho mai accettato di farmi intervistare “perché non c’era nulla di speciale nella mia vita. Non ho fatto nulla di straordinario nei miei anni sull’isola di Sorok”. Dopo 40 anni di missione e 6mila malati di lebbra curati e aiutati a tornare alla vita, suor Marianne Stoeger risponde così a chi le chiede come mai non abbia accettato di farsi conoscere prima dall’opinione pubblica e perché abbia rifiutato onorificenze e sovvenzioni. Insieme alla consorella Margaret Pissar, essa ha dedicato una vita intera agli affetti dalla malattia di Hansen in Corea del Sud. E al compimento dei 70 anni se ne sono andate in silenzio, temendo di divenire un peso per l’ospedale che avevano contribuito a costruire.

Suor Marianne ha oggi 82 anni, mentre suor Margaret è di un anno più giovane. La prima è tornata lo scorso 13 aprile sull’isola, lasciata nel 2005, per i 100 anni dell’ospedale Sorokdo – in cui hanno passato la vita – e per dare un ultimo saluto alla loro terra di adozione. Suor Margaret ha invece dovuto rinunciare al viaggio per rimanere in una casa di cura: affetta da alcuni malanni legati all’età, ha mandato il suo saluto tramite la consorella. In effetti, racconta ad AsiaNews un sacerdote locale, “anche suor Marianne voleva tornare a casa in Austria senza incontrare i media o le autorità. È stata convinta a restare dai figli e dai nipoti dei lebbrosi cui ha dato nuova vita”.

Il primo impatto con la Corea del Sud è datato 1962, quando suor Marianne arriva nel Paese. La consorella la raggiungerà nel 1966. Le due religiose – appena diplomate in una scuola austriaca per infermiere – vengono inviate nell’isoletta divenuta una sorta di lager per i lebbrosi. Mentre medici e infermieri locali usano mascherine, guanti e tute protettive, le due donne – che non hanno ancora compiuto 30 anni – lavorano senza protezione. Persino quando sangue e pus dalle ferite infette le colpiscono in faccia.

La più grande gioia, racconta suor Marianne, “era per me vedere i pazienti che venivano dimessi. Potevano lasciare l’isola e tornare a casa con le ferite curate. È stato il potere del Vangelo e di Gesù Cristo che mi ha resa in grado di servire queste persone”. La religiosa ricorda il clima terribile trovato nei primi mesi di missione: creato nel 1916 dai dominatori giapponesi, il sanatorio di Sorokdo era di fatto una sorta di campo di reclusione per i lebbrosi, temuti ed emarginati.

Nonostante la liberazione dal Giappone con la fine della II Guerra mondiale, il nuovo regime nazionale di fatto mantiene la situazione di emarginazione: “I malati dovevano chiamarci ‘signore’ ed essere umili e deferenti. Le botte erano la regola, così come gli aborti forzati e le sterilizzazioni. Ci sono voluti decenni per cambiare le cose”.

In quei decenni, la missione principale delle due suore è stata rendere la dignità ai pazienti: “Cercavamo di visitarli al mattino presto, quando non c’era nessuno, e parlavamo con loro. Molto spesso cenavamo insieme la sera tardi, sempre per evitare i controlli. E facevamo il possibile”. Nonostante la riservatezza, il “possibile” era moltissimo: attraverso una campagna lanciata in Austria, le due raccolgono medicinali e contributi economici per costruire una casa per i figli non malati dei pazienti, un’ala per i tubercolotici e un’altra per i malati mentali. Non è un caso che i ricoverati di Sorokdo le chiamassero “le nostre due nonne”.

La loro vita straordinaria, conclude suor Marianne, “non sarebbe stata nulla senza Dio. Lui ci è sempre vicino, e lo ha dimostrato con il dolore di Cristo sulla croce. Lui è morto nel dolore, e grazie a questo noi possiamo vivere con gioia la nostra vita e la nostra fede. Se capisci che Gesù vive in ognuno di noi puoi amare ogni essere umano, non importa quanto non ti piaccia”.

La Chiesa cattolica di Sorokdo, guidata da p. Kim Yeon-jun, sta preparando un documentario sulle due “suore dei lebbrosi”. E la contea dove sorge l’ospedale sta cercando di candidarle per il premio Nobel per la Pace.