Solitamente in questi casi, passato un po’ di tempo, scema l’effetto “novità”, qualcuno si stanca, molla, attratto qualcosa di più nuovo. Tendenzialmente in questo periodo si viaggia meno, l’inflazione colpisce tutti e se si fa sentire sul carrello della spesa, non può che farlo anche sui budget dei viaggi e delle vacanze, destinati ad assottigliarsi per tutti. Al momento sono ancora molte le persone che preferiscono fare cose da remoto, riunioni da remoto, colloqui da remoto, incontri da remoto. Eppure oltre tremila cinquecento persone sabato si sono date appuntamento al quinto capitolo del Monastero Wifi. Perché? Non potevano semplicemente collegarsi da casa, tanto più che appunto, parliamo di una realtà con una particolare vocazione “virtuale”? Perché lasciare per un giorno quotidianità, famiglia, e ipotecare del tempo libero semplicemente per pregare, non è forse questa una attività che si può fare in qualunque luogo e in qualunque momento? Il popolo del Monastero wi fi stupisce ancora, colpisce ancora e soprattutto risponde all’invito di colei che gli ha dato vita, la giornalista Costanza Miriano, come sempre con l’imprescindibile braccio Monica Marini e il team biondo per questo quinto capitolo d’oro vestite. La ricetta è quella di sempre: catechesi, Messa, Rosario, Adorazione, intervallati da abbracci, canti, selfie. Al centro della giornata il quarto dei pilastri su cui strutturare la vita di fede: l’Eucarestia, il centro di tutto.
La padrona di casa si è presa lo spazio di pochi minuti, principalmente per ringraziare chi ha reso la giornata possibile, da chi ha preparato la Basilica al Cardinale Gambetti che ha aperto le porte ai monaci wifi, ma soprattutto ha sintetizzato il sentire di un popolo che non risponde a un movimento o a una associazione, ma solo ad un moto del cuore. «Siamo particolarmente felici oggi di ascoltare queste catechesi, sulla tomba del primo Papa, al centro della Chiesa mondiale, e anche nei giorni del Sinodo perché l’Eucaristia è ciò che abbiamo di più caro e prezioso nell’universo. Noi mangiamo il corpo di Cristo, beviamo il suo sangue, e Gesù non è un fatto privato, intimistico, lui è davvero il Logos del mondo, è il senso del mondo, è la logica delle cose, quando uno è lontano da Gesù è il caos, si comporta in modo assurdo. Se stai attaccato a Gesù funzioni, e non è che lo dici a parole, lo dimostri con la tua vita, la tua macchina va più veloce, funziona meglio, consuma di meno».
Funzionare meglio ovviamente non vuol dire essere più bravi degli altri in qualcosa, vuol dire che anche noi, come Gesù è morto per la Chiesa, piano piano ci lasciamo mangiare, dalla moglie, dal marito, dal superiore, dalla vicina. Chi ce lo fa fare? L’avere assaggiato, anche solo per poco, un’intimità col cuore di Cristo, quello che da morto fa uscire ancora sangue e acqua, perché è ancora vivo, e sempre lo sarà. Con Dio possiamo avere il rapporto più profondo che ci sia, qualcosa che riempie la vita davvero. Ma come si fa ad avere accesso a questo rapporto? Un buon inizio è cominciare a vigilare sulle parole: partire dal parlare come Gesù, cioè non dire parole contro nessuno, mai. Dopo una decina di giorni – diceva padre Emidio, perché io personalmente a dieci giorni non sono mai arrivata – ci accade di pensare come Gesù, e magari piano piano anche di agire come lui. A quel punto la vita secondo il battesimo diventa una seconda natura, che poi è lo Spirito Santo. Quando lo si sperimenta è una cosa talmente dolce che pur di non perderla sei pronto a farti fare a pezzetti, stare in croce e non ribellarsi. Non è una questione di forza di volontà, il rapporto con Dio è sempre una grazia, ma tu gli puoi dire, io ho fatto la mia parte, adesso tocca a te.
Ogni momento che sei cosciente sei alla presenza del Signore, come se Lui fosse vicino a te, diventa un anticipo di paradiso. E con Gesù noi tiriamo fuori il nostro vero volto, un volto bellissimo, perché davvero “gloria di Dio è l’uomo vivente”, ma che conosciamo e possiamo mostrare solo facendo la fatica della preghiera. Noi siamo figli di Dio, e lo siamo realmente: noi siamo di famiglia reale e dobbiamo comportarci di conseguenza, fieri della nostra nobiltà. Come dicono le Lettere di Berlicche: il problema per il demonio è quando l’uomo scopre che infinito piacere è Dio. Ma questo piacere non è solo per noi, non ce lo possiamo tenere. E arrivo al punto finale: il frutto dell’Eucaristia è la comunione, perdere noi stessi perché altri abbiano la vita. Cioè volerci bene tra fratelli, insopportabili, lunatici, difettosi, con i nostri caratteri, i complessi, le ferite, le storie familiari e personali. Ecco il miracolo dell’Eucaristia, permettere che siamo in comunione anche se umanamente non abbiamo niente in comune. Niente tranne il sangue, il sangue di Cristo.
.Foto: Credit Cristian Gennari
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