Nelle scuole italiane non verrà insegnata la cosiddetta “teoria del gender”, saranno invece attuati «i principi di pari opportunità, di lotta alle discriminazioni, di prevenzione della violenza di genere, fondamentali in una società per formare giovani e adulti responsabili».
Lo ha assicurato il ministro dell’Istruzione, Stefania Giannini, rispondendo, durante il question time, a una interrogazione della Lega Nord sulla possibilità che una passaggio della riforma della scuola (il comma 16) recentemente approvata possa diventare il veicolo per diffondere la teoria gender.
Chi si accontenta dorme. Si tratta infatti di un sottilissimo sofisma. Vero, nella legge e nelle direttive attuative non si parla mai di "teoria del gender". Però si parla sempre, come dice bene il ministro, di «attuazione da un lato di princìpi di pari opportunità, attraverso l’educazione alla parità fra i sessi, dall’altro della prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione». Rileggete attentamente e capirete l’inghippo. Che è questo.
La “Buona scuola” inculcherà la parità tra i sessi, i quali però, come dice la cultura corrente con tanto di sentenze delle massime corti italiane di giustizia a sostegno, sono 1) distinti e disgiunti dagli organi sessuali delle persone, 2) una scelta insindacabile di ognuno, minori compresi, che quindi vanno avviati presto alla scelta culturale del sesso che preferiscono, 3) un numero X ben oltre il solo maschio e la sola femmina della retriva cultura tradizionale che ha dominato sino a oggi.
Tutto sempre senza nemmeno nomina il gender. Si aggiunga poi la «prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione» e si capirà come, ancora senza nominare il gender, chiunque osasse anche solo azzardare il dubbio che il gender sia una plateale buffonata o, peggio, una imposizione innaturale finirà lesso.
Il ministro Giannini ce lo ha assicurato, rispondendo a tono a una domanda decisiva.