I più giovani forse nemmeno conoscono il nome di Lech Walesa, l’elettricista polacco che guidò il suo popolo contro il totalitarismo comunista davvero provocandone l’inizio della fine.
Fu infatti dopo che il regime di Varsavia aveva soffocato nel sangue i primi scioperi di protesta del 1970 ai famosi cantieri navali di Danzica che Walesa comprese la necessità di organizzare la ribellione al comunismo. Nel 1979 divenne così a “furor di popolo” la guida del movimento controrivoluzionario, diventando il leader di Solidarnosc, il primo sindacato libero polacco. Nel 1981 Varsavia reagì instaurando la legge marziale e internando Walesa per 11 mesi; ma quando questi, nel 1982, tornò alla testa della rivolta, fu il trionfo nonostante Solidarnosc fosse stata messa ufficialmente fuorilegge. Il braccio di ferro con il potere fu comunque lungo, duro, senza esclusione di colpi; oramai però il destino del comunismo era segnato. E presto tutti i regimi totalitari dell'Est iniziarono a scricchiolare; cominciò in Polonia, finirà con la “casamadre” sovietica.
Walesa, Premio Nobel per la Pace nel 1983, ha sempre combattuto per una vita “senza menzogna”, affidando costantemente la sua buona battaglia alla protezione della Vergine Maria. A capo della Chiesa Cattolica stava un altro polacco, l’“amico” di Walesa san Giovanni Paolo II. Davvero la bugia comunista non poteva sopravvivere.
Oggi giunge finalmente anche nelle sale cinematografiche italiane Walesa, l’uomo della speranza, il film che l’88enne regista polacco Andrzej Wajda dedica a quell’epopea senza precedenti , prendendo spunto dall’intervista che la giornalista italiana Oriana Fallaci realizzò con il sindacalista polacco nel famoso, tetro 1981.
È un’ottima occasione per tornare a parlare ai più giovani di una stagione cupa della storia europea e mondiale oggi rimossa con troppa noncuranza, della violenza palpabilissima pepetrata quotidianamente dalle ideocrazie e soprattutto del coraggio della fede vissuta oggi giorno con speranza anche nelle avversità più dure.