(dalla Romagna) – Sulle statali che collegano i paesi disastrati della Romagna si vedono mezzi pesanti di ogni tipo, come giganti alieni piombati in quello che era un giardino fecondo e ridente. La catastrofe è enorme e richiede forze altrettanto enormi, giganti, robuste. È vero, ma non meno vero è che l’unica sentinella della Romagna è la bicicletta. È anche un incursore, riconquista metro a metro il territorio e le relazioni.
Si pedala fin che si può e poi, dove il fango la fa ancora da padrone, la si porta mano. Ci sono stradine invase da cumuli di roba così grandi che non permettono il passaggio neppure delle auto più piccole. Ci vuole un hobbit.
La bicicletta è «ignorante», nell’accezione romagnola di «testarda». Bartali ha salvato tanti Ebrei portando loro documenti falsi nel tubo della sua bici. Da vero cronista Guareschi batteva l’Emilia sulle due ruote per raccogliere notizie, eventi, casi. Oggi il giornalista contatta gli alluvionati con un messaggio su Facebook. Si rischia di disincarnare anche una catastrofe. File condivisi, realtà formato jpeg, giga di memoria. Quale memoria poi? Non conta la storia, si spera che il contenuto diventi virale.
E virali diventano certi vocali di Whatsapp che aggiungono confusione al putiferio. Contengono richieste di aiuto o indicazioni sui punti di raccolta e lo stesso vocale si moltiplica con crescita esponenziale in mille chat. Voce di uno che grida nel deserto (ma con senso opposto). «Giratelo a tutti», il mantra. Sono messaggi veri in origine, ma non avendo data né contesto diventano anche falsi. E finisce che queste voci vanno in giro nel modo meno utile possibile. Si condividono a ruota – si ha l’illusione di dare una mano – senza chiedersi: quando è stato diffuso? è ancora valido?.
Si ha l’illusione che la solidarietà sia leggera e veloce. Che la cura sia istantanea.
La bicicletta non è virale, e quelle che girano per i paesi romagnoli non sono neppure veloci. Ma la bicicletta in mezzo all’emergenza fa soccorso e fa rete. Assesta un territorio dissestato. A Lugo e Sant’Agata sul Santerno ce ne sono tante in giro. È un mezzo fenomenale, permette il contatto uno a uno, si può fare tappa a ogni metro senza dover spegnere e riaccendere. Serve solo un po’ di sudore. E pedalando si portano notizie nel giusto recinto di necessità, non al mondo intero ma da un capo all’altro del quartiere o del paese. Si avvisa dove sono le case in cui lavatrice funziona, si prende nota di chi può mettere a disposizione un frigorifero. Si porta un certo medicinale a una certa signora anziana. E ci s’incoraggia con le mani, con gli occhi, anche con la voce rotta dalle lacrime. Due pedalate e ci si ferma: «Come va?» «Di cosa hai bisogno?». Nel cestino ci sta poco. Ma non è la legge dei grandi numeri che salverà il mondo.
Lo salva un di più di incarnazione, un piantarsi nel grande peso che ha il poco che siamo. Potata la sicumera da supereroe, c’è l’evidenza di un paradosso confortante: abbiamo da dare quel che sta nel cestino di una bicicletta, ed è tutto ciò di cui c’è bisogno. Ci stanno pochi asciugamani puliti, che sono una grande benedizione per chi in mezzo al disastro è sfatto e sporco. E non si tratta di fornitura di panni igienizzati. Come la Veronica, si asciuga un volto alla volta e si sta attaccati con amore a quello. Questa litania a singhiozzo di pedalate e fermate è un rosario sgranato di numero civico in numero civico. Si gira in tondo, e non si va lontano. Non ci sono slogan o scoop, si ripetono le stesse parole necessarie. Si batte e ribatte sulla stessa zolla di fango.
(Immagini © Annalisa Teggi)
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