«La Bibbia per me è una questione di vita o di morte». Sono parole battagliere, quelle pronunciate ieri da Päivi Räsänen, politica ed ex Ministro dell’Interno della Finlandia, nel giorno della prima udienza del processo penale a suo carico per alcune prese di posizione contro l’ideologia Lgbt che, purtroppo, rischiano di costarle caro. In effetti, per quanto ieri, a Helsinki, fossero presenti, oltre a molti giornalisti, anche svariati sostenitori (circa un’ottantina di persone) dell’imputata – classe 1959, madre di sette figli, nonna di cinque nipoti, e medico di professione – il processo si è aperto in un clima pesante.
Naturalmente, questo non è un caso, se si pensa che la gran parte dei giornali finlandesi, nei mesi scorsi, ha attaccato duramente Räsänen e, come se non bastasse, un recente sondaggio ha messo in luce come molti cittadini la ritengano già colpevole, dando per scontata una sua condanna. Inutile poi ricordare che da molto tempo la faccenda ha superato i confini nazionali della Finlandia, di cui pure costituisce un evento di peso.
Secondo il teologo Timo Eskola, «il caso di Räsänen è l’evento più importante nella storia della Chiesa finlandese in cento anni ed è destinato a diventare un processo riferimento per molti altri in futuro». Non sono considerazioni casuali dal momento che, oltre alla libertà di espressione, questo processo risulta anche centrato sulla libertà di culto. Per capirlo, basta rammentare quali siano i tre gravi «reati» che avrebbe commesso l’ex ministro, ovvero: la pubblicazione, nel 2004, di un libro intitolato Mieheksi ja naiseksi hän heidät loi – titolo corrispondente al versetto 27 della Genesi «Maschio e femmina li creò» -, l’aver scritto un tweet del 2019 di critica al sostegno dato dalla Chiesa evangelica luterana finlandese all’Helsinki Lgbt Pride 2019 e l’aver ribadito il suo pensiero – così come esposto nel libro citato -, in un talk show della Finnish Broadcasting Corporation sul tema “Cosa penserebbe Gesù degli omosessuali?”.
Insomma, come osservato dal citato Eskola, in realtà Päivi Räsänen «non ha mai criticato i gay»; semmai ha criticato le prese di posizione della Chiesa luterana della quale si è limitata a difenderei il pensiero su questo argomento, così com’era prima di certi sbandamenti. Quelle finite sotto processo sono dunque prese di posizione pacifiche, che in un contesto democratico non dovrebbero essere neppure alla lontana oggetto di condanna. E c’è da scommettere l’ex ministro si sarebbe evitata il processo, se non ci fosse stata una svolta significativa, in Finlandia, nel 2011, quando venne modificato il Codice penale attraverso inserendo «l’orientamento sessuale» tra i discorsi d’odio sanzionabili all’art.10. Una modifica, com’era stato notato dal Timone, del tutto somigliante a quelle che si sarebbero volute introdurre nel ddl Zan, la norma arcobaleno naufragata in Senato lo scorso ottobre.
Ma torniamo in Finlandia, perché il processo iniziato ieri a Helsinki ha presentato degli aspetti molto singolari e, inutile negarlo, inquietanti. Basti pensare alla convergenza di interventi che, di fatto, si è vista in Aula tra il pm, Anu Mantila, e il presidente della corte, Tuomas Nurmi, ambedue concordi sul fatto che quello che dovrà essere valutato è il rispetto della legge finlandese «e non la Bibbia», quasi a lasciar intendere che Päivi Räsänen non potrà appellarsi al suo diritto di credere e professare la dottrina cristiana.
Ciò detto, è difficile non notare come durante la prima udienza – nel corso delle quale si sono esaminati sia l’opuscolo scritto dall’ex Ministro, sia le registrazioni della trasmissione di cui fu ospite nonché il tweet incriminato – la stessa accusa abbia più volte richiamato l’attenzione sui testi sacri ai cristiani. «Le parole dell’apostolo Paolo non hanno fondamento giuridico», ha per esempio detto ad un certo punto il pubblico ministero, quasi che l’imputato fosse Paolo di Tarso e chiunque citi o si riconosca nelle sue lettere, notoriamente non tenere con chi pratica atti omosessuali.
Da parte sua, la difesa di Päivi Räsänen, seguita dall’avvocato Matti Sankamo, si è mossa mettendo in luce come l’imputata abbia criticato, di fatto, più le posizioni della Chiesa evangelica luterana finlandese che quelle del mondo omosessuale. «Le accuse non corrispondono a quello che penso e a quello che ho scritto. Non ho parlato insultando o incitando all’odio contro una minoranza. Sarebbe contrario alle mie convinzioni», ha ad un certo punto detto l’ex Ministro, in solidarietà alla quale, ieri, l’associazione CitizenGo Italia, unendosi ad una campagna europea, ha organizzato un presidio di protesta davanti all’ambasciata finlandese.
La prima udienza si è conclusa ieri poco dopo le 17:00. Il processo riprenderà il prossimo 14 febbraio. Nel frattempo, c’è da sperare che l’attenzione sul caso della politica filandese rimanga alta, dal momento che, come dovrebbe essere ormai chiaro, in gioco non c’è un caso singolo, per quanto rilevante, bensì un principio che dovrebbe essere caro a tutti: quello di poter professare pubblicamente quello che il cristianesimo insegna in materia di etica e morale.
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