Bergamo operosa, Bergamo schiva, Bergamo tenace. La dipingono così in queste settimane in cui la provincia orobica sta pagando il più alto tributo in termini di vite umane per questa epidemia, senza che ancora sia chiaro il motivo. Bergamo sanguina, piange, lavora giorno e notte per salvare delle vite, senza fare rumore. In città non si è vista l’ombra di un sottosegretario, figuriamoci di un ministro, Bergamo è solo un nome che si guadagna la pole position nel consueto bollettino di guerra della Protezione Civile. Tutti lo sanno che qui si soffre senza far baccano e non ci si aspetta niente di diverso. Bergamo è le terapie intensive quasi al collasso, l’ospedale da campo degli Alpini in costruzione, il corteo dei mezzi dell’esercito che portano via le salme di chi è privato anche del funerale
Ma Bergamo è anche quella che nessuno racconta, quella che prega. Nelle case piagate dal dolore, dall’isolamento, scorrono fiumi di Ave Maria, di Salve Regina, di invocazioni al cielo. Chi pregava già prima, ora sgrana Rosari in ginocchio, chi non ha mai pregato si è trovato a sussurrare a mezza bocca quelle formule imparate da bambino, anche chi dice di non credere, in fondo al cuore si rivolge al cielo. Perché i bergamaschi sanno che le preghiere cambiano il corso degli eventi.
Come accadde nel marzo del 1943. «Raccontava L’eco di Bergamo: “La guerra, si può dire, era nelle nostre case. La gente non sapeva se, coricandosi la sera, avrebbe trovato la città intera al mattino. Notti d’incubi per tutti. Città vicine a Bergamo alzavano già, verso il cielo, le braccia scheletrite dal dolore sulle macerie fumanti; i segni dei bombardamenti aerei erano anche in paesi vicinissimi a Bergamo. Il 13 marzo, lungo tutto l’anello delle mura, mentre gli ippocastani stavano per risvegliarsi all’annuncio di una nuova primavera di guerra, una folla impressionante (calcolata a quarantamila persone) sfilava lenta dietro al miracoloso Crocifisso di Rosate; il rosario, recitato da tutti ad alta voce, pareva cadenzare nelle anime il dolore di quelle ore tremende. Il Canto dei Salmi penitenziali aveva il lamento di tutto un popolo in sgomento”. Quella di quel giorno sulle Mura era la grande processione, partita dal duomo, di penitenza e di propiziazione che concludeva un Triduo di predicazione e di preghiere indetto in tutta la città per implorare la pace. Una processione preceduta dal miracoloso Crocifisso di Rosate, portato da chierici in fiammante tunicella rossa. A chiusura di quella sfilata di dolorosi canti e di invocazioni accorate il vescovo in duomo si fece interprete di tutto il suo popolo e disse: “Se saremo risparmiati dai danni delle incursioni aree, noi promettiamo e facciamo voto di erigere, a guerra terminata, quale parrocchiale del quartiere di Santa Lucia, un Tempio votivo al Cuore Immacolato di Maria che rappresenti nei secoli la nostra gratitudine al Signore”» (da Il Novecento a Bergamo, cronache di un secolo, Pilade Frattini, Renato Ravanelli, Utet editore).
La Madonna accordò la grazia a Bergamo e il Tempio Votivo di Santa Lucia è lì a mostrare che i bergamaschi furono fedeli alla parola data dall’allora vescovo Adriano Bernareggi.
Certo non è senza peccato Bergamo, travolta dalla secolarizzazione ha visto da allora affievolirsi la fede di un popolo, come anche il suo clero, ma questa epidemia fa riaffiorare la pasta del cuore dei bergamaschi, mai dimentichi di quel Creatore che oggi sì, sta permettendo una grande prova, ma insieme sta dando la possibilità di una grande conversione e sta permettendo a molte anime di tornare a Lui. All’unico amore capace di asciugare ogni lacrima e di colmare ogni vuoto.
Possa Bergamo coglier questa possibilità, possa ogni bergamasco fare un voto solenne alla Regina del Cielo e chiedere che questo flagello smetta di portare la morte in cambio di un sacrificio, una rinuncia, una promessa. Nella certezza che accadrà come 77 anni fa. Perché «Chi semina nelle lacrime miete nella gioia».
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