Da un’idea di don Samuele Pinna ha preso vita “Dietro le quinte”, una rubrica senza periodicità che vuole incontrare quei personaggi importanti che lavorano per il bene e non sempre appaiono in prima fila, ma appunto sono spesso “dietro le quinte”. Oggi don Pinna incontra l’architetto Viviana Cuozzo, musicista, pittrice e poetessa
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In un incantevole atelier in pieno centro a Roma mi vedo con l’arch. Viviana Cuozzo, nota per le sue pubblicazioni di raccolte di poesie. Mi interrogo sul perché un architetto si sia cimentato nel vergare versi diffusi su carta stampata: «La forma mentis d’architetto – mi è subito spiegato – mi conduce a cercare di continuo l’armonia, l’equilibrio, la perfezione, come pure mi sollecita a percorrere una via creativa desiderando linguaggi nuovi. Un architetto – per poter essere tale – deve entrare nel mondo, ed entrare nel mondo significa conoscerlo bene ed esplorarlo in tutti i suoi aspetti: da quelli legati all’ambiente naturale a quelli legati al costruito, dai fattori culturali a quelli scientifici, da quelli antropologici a quelli tecnologici e via dicendo. Siccome ho sempre amato scrivere, descrivere, rappresentare, entrare e scavare nel mondo, nelle forme, nei significati, compiendo questa operazione d’immersione nella realtà con tutta me stessa, pian piano si è aperto un varco che mi ha permesso di sentire e gustare le cose interiormente. Con molta naturalezza, assecondando i miei desideri e la mia curiosità, quest’esercizio delle facoltà cognitive è diventato con il tempo un esercizio dell’anima, che è arrivata a vivere sospesa tra cielo e terra». C’è già qualcosa di lirico in quanto mi viene raccontato, una sorta di introduzione al mio quesito, che ora può essere soddisfatto: «Non esiste un perché io scriva poesie. La scrittura dei miei versi sopraggiunge in quei momenti in cui mi stacco dalla realtà: si azzerano i suoni, il tempo, spariscono le persone e resto in una dimensione eterea, sola tra luce e parole. Al termine di questi momenti, devo correre a trascrivere le parole sgorgate dall’anima, altrimenti sfuggono, irrimediabilmente. La mia poesia dunque non è costruita, come invece è ragionato tutto ciò che compio nell’architettura. Quanto invece li accomuna è il tempo e il luogo invisibile in cui nascono».
Sento l’urgenza di sapere cosa s’intenda per poesia: «è per me la Bellezza tradotta in parole. Le parole sono una ricchezza inestimabile. Attraverso di esse riusciamo a comunicare alle persone ciò di cui abbiamo bisogno, sono un codice che ci permette di arrivare a comprenderci nel migliore dei modi. Ci sono cose che non si riesce tuttavia a esprimere in maniera esaustiva con il linguaggio convenzionale, occorrerebbero troppi discorsi, lunghi. Dialoghi, che oggi spesso non si è più disposti a sostenere. I versi riescono invece a custodire significati profondi, a esplorare la vastità e la complessità dell’umano sentire, celandosi nella discrezione dei simboli a cui le parole stesse rimandano, risuonando significati amplificati dalle metafore, dalle allegorie; con pochi termini riescono a toccare mente e cuore grazie alla loro armonia superiore. La poesia custodisce al contempo mistero e apertura e lascia la libertà, a chi la scrive e a chi la ascolta, ciascuno a modo suo, di entrare in relazione con il senso profondo delle cose, proprio perché nasce nell’anima».
Entro nel dettaglio e domando alla mia interlocutrice cosa voglia comunicare con la sua opera: «La bellezza di cui siamo fatti e in cui siamo immersi – è la replica immediata, espressa con dolcezza –, anche in mezzo alle tempeste. Il mio desiderio più grande è quello di rivedere occhi pieni di semplicità, di stupore, pieni di emozione, di gioia, di speranza, fede e carità. Rivedere occhi sereni e liberi». Non solo la poesia e l’architettura, ma anche la pittura, la musica: chiedo la ragione di tante forme artistiche diverse: «È un’urgenza quella che provo nel dovermi abbandonare alle arti, un bisogno primario dal quale non mi può sottrarre nessuno. Ed è comunque qualcosa che mi appartiene fin da quando ero una bambina. Ho avuto sempre tra le mani penne, colori, pennelli, fogli, tasti del pianoforte e dell’organo, corde della chitarra. Cantare poi è un’ulteriore mia grande passione. Dunque, per me non vi è nulla di più naturale e semplice dell’esprimermi nelle forme dell’arte. Tutte nascono nel silenzio del mio cuore, della mia casa, del mio studio, nel silenzio di una passeggiata o della vista di un tramonto; nascono in momenti di grande intimità spirituale e per necessità devo lasciare che le parole, i segni, i suoni transitino verso qualcuno. Tutte queste esperienze, che sono ingenerate sia nella gioia sia nel dolore, mi portano in dono la felicità, che desidero travasare nel mondo. Farlo è per me un passaggio d’obbligo, devo diffondere dalla mia anima la luce percepita, devo comunicarla, condividerla, non solo per partecipare agli altri la bellezza sentita, ma anche perché è di una immensità tale che da sola non riesco a contenerla». Il discorso mi appare quasi avvinto da profonda religiosità, ma sono subito fermato nelle mie personali riflessioni, perché reso edotto – e confermato – di quanto sia decisivo il rapporto con l’Altissimo: «La fede nella mia vita è importantissima, perché mi insegna a vedere con lucidità gli eventi in cui siamo immersi, considerando il tempo umano un passaggio verso il tempo divino. La consapevolezza di ciò è maturata negli anni, si è evoluta da un messaggio acquisito in famiglia. Avendo vissuto forti esperienze di sofferenza, la mia personale risposta al dolore è stata nella volontà di ricordare e cercare continuamente tracce di bene disseminate nel mio cammino e di conservarle come un tesoro prezioso. La fede, inoltre, apre alla visione del Bene, del Bello, del Vero e lascia passare tutto quello che si discosta da Loro. Con la fede non ti senti sola, povera, inadeguata, finita; ti senti parte viva e attiva del creato, chiamata a essere cooperatrice del Bene, del Bello, del Vero in un moto e modo inarrestabile. L’arte ha accompagnato la mia esperienza di fede, è stata ed è ancora oggi per me una via pulchritudinis, perché con la sua delicatezza consente che tutta l’aridità terrena si trasformi in qualcosa di meraviglioso».
Incalzo di nuovo chi ho davanti a me: credere in Dio è sempre stato importante? «Sì, e oggi lo è ancora di più: il progresso e il benessere della civiltà attuale, avendo indotto nell’uomo l’idea di essere autosufficiente, hanno provocato l’annientamento del “bisogno d’altro fuori da sé” autentico, incentivando la solitudine ontologica dell’uomo, portandolo sempre più ad azioni lesive. Credere in Dio oggi non è semplice, ma è estremamente necessario, per invertire la rotta di una barca che sta affondando. Significa anche fare un passo molto impegnativo, sacrificante e avere il coraggio di uscire dagli schemi che la gestione speculativa della società impone, rinunciare cioè a una vita mondana, comoda ed egoistica per rientrare nel mondo reale. Insomma, liberarsi dell’apparenza e riprendersi la sostanza, decidendo di avere un punto di riferimento vero, riconoscendo la propria identità, rianimarsi». Scruto l’artista sedutami innanzi e scopro il suo tenue sorriso, i gesti ricolmi d’affetto, l’intelligenza vivace. Per cui, senza sofismi, rilancio la discussione sulla fede, per poi sentirmi dire: «È impossibile vivere la vita senza riporre fede in qualcuno, che sia uomo o che sia Dio. Soltanto il fatto che da soli possiamo fare poche cose dovrebbe portarci a riflettere che quella necessità di appoggiarci, rivolgerci, affidarci a qualcuno è la misura della nostra natura umana, che ha bisogno di uscire fuori da sé per poter star bene, ha bisogno di altro, ha bisogno di un punto di riferimento serio. A un certo momento ci si accorge che l’altro a sua volta non è sufficiente e si deve ricorrere a un altro ancora, un Altro che sia superiore. L’atto di affidamento è un atto d’amore, reciproco, transitivo, vero. Se non sussistono queste condizioni l’affidamento è nullo e l’uomo resta solo. Viviamo in un tempo in cui l’uomo è profondamente solo, in cui non conosce neppure se stesso; non riconosce la sua natura umana, bisognosa d’altro fuori da sé, che sia superiore a tutte le cose futili e precarie di cui si circonda, superiore a tutte le sue relazioni fragili e transitorie».
Dopo questi concetti così chiari, non posso esimermi dal provocare: traspare ed è rintracciabile questo modo di credere nei componimenti pubblicati? «Mi auguro di sì – mi viene confidato con umiltà –, o almeno lo spero per chi ha la sensibilità di inabissarsi nelle mie parole e comprendere che in fondo l’Aurora, il Silenzio, la Pace, la Bellezza, il Fuoco, le Stelle, la Luce sono per me nomi di Dio. In ogni momento, in ogni cosa, in ogni persona cerco Lui. Per questo è mia precisa volontà calare nelle opere un messaggio spirituale; cerco a modo mio di esprimerlo e confido che si riesca a coglierlo. Usando un’espressione di papa Paolo VI vorrei che la mia arte fosse “facile e felice”».
È arrivato il momento di congedarmi e me ne dispiace, perché Viviana – mi permetto un poco di confidenza – è una persona deliziosa che ama tutte le forme dell’arte, senza le quali non potrebbe vivere. Sono la sua luce, la sua forza, la sua consolazione, il mezzo più delicato e discreto con cui si rivolge al mondo, invitando chiunque a gustare e a sentire interiormente la meraviglia in cui siamo immersi. Non che neghi, non senta o non veda il male, la cattiveria, le cose brutte, la tristezza, il dolore, neanche la sua vita – intuisco – è tutta rose e fiori. Solo, è convinta che l’equilibrio e la felicità in ogni uomo sopraggiunga quando si è capaci di superare le cose negative, dando il primo posto al Bene e attivandosi – sporcandosi cioè le mani di inchiostro, testimonianza, tempere e pensieri – per avere un mondo migliore. È lo sforzo di chi cerca di vedere in ogni cosa il Bello che rimanda sempre allo splendore della Verità: «Siamo chiamati tutti – ecco l’invito che l’arch. Cuozzo mi lancia, mentre ci salutiamo sulla porta del suo grazioso studio – a essere artisti per fare della nostra vita un capolavoro. È necessario che nutriamo costantemente l’anima, che ci tuffiamo in una dimensione poetica della vita. Solo così, per dirla con il titolo del mio ultimo libro, nel cuore del mondo Tornerà l’Aurora».
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