Ho dedicato il mio ultimo libro al Maschio, bianco etero & cattolico sperando che fosse l’ultima parola, e cioè che non maturassero più ulteriori pregiudizi ai danni dell’uomo occidentale per antonomasia. Purtroppo mi sbagliavo. Ne ho avuto conferma leggendo i resoconti del dibattito, tenutosi martedì sera, fra i candidati alla vicepresidenza degli Stati Uniti Tim Walz e J.D. Vance; un dibattito, che se da un lato, riferisce il Post, «ha avuto toni più civili e cortesi rispetto a quello che si era tenuto a settembre tra i candidati presidenti Kamala Harris e Donald Trump», dall’altro ha comunque sollevato dei pregiudizi.
Pregiudizi a danno di chi? Ma di J.D. Vance, suvvia, che domande. Prova ne è quanto riportato da un sito ritenuto autorevole, Politico, il quale non ha trovato di meglio che soffermarsi con preoccupazione…sulla sua barba. «Vance è il primo in 80 anni che corre per la Casa Bianca a portare la barba», fa infatti notare la testata, che subito aggiunge, «il nostro aspetto è fondamentale per il nostro linguaggio del corpo e la ricerca indica che gli elettori vedono la barba come (sorpresa, sorpresa) più maschile. Ciò può essere positivo per alcuni, venendo interpretato come forza e competenza».
«Ma per altri, soprattutto le donne», procede Politico, «questo può essere negativo, trasmettendo aggressività e opposizione agli ideali femministi». Chiaro? Adesso persino esibire una semplice barba, peraltro ben curata, è qualcosa da mettere al bando, perché trasmette «aggressività e antifemminismo». Il che conferma tutti i peggiori sospetti circa il fatto che oggi il problema non sia tanto la cosiddetta mascolinità tossica – espressione sulla quale pure ci sarebbe già da discutere… -, ma sia la mascolinità stessa, il mostrarsi semplicemente uomo e virile, in un tempo femminilizzato o neutro quale, di fatto, sembra ormai il nostro.
Aggiungiamoci che effettivamente il vice di Donald Trump ha pure altre caratteristiche invise alla cultura dominante – è un cattolico devoto lettore di sant’Agostino, fiero antiabortista (anche se ultimamente si pone, forse per strategia elettorale, con toni più morbidi) -, e il motivo per cui già la sua barba può dare fastidio, come dire, si può comprendere. Anche se, potremmo ironicamente concludere, anche J.D. Vance avrà dei difetti. Battute a parte, staremo a vedere quali esiti potranno avere le attesissime elezioni che si terranno negli Stati Uniti il prossimo 5 novembre, elezioni dalle quali dipenderà molto anche per l’Europa e per lo stesso Occidente.
Da parte nostra, come Timone, sul numero di ottobre della nostra rivista (qui per abbonarsi) abbiamo dedicato uno speciale primo piano proprio alle elezioni americane, interpellando al riguardo cinque grandi esperti di cose statunitensi: il giurista Robert P. George, lo scrittore Rod Dreher, il teologo R. R. Reno, il vaticanista John Allen Jr. e l’analista Andrew Spannaus. Quello che possiamo sicuramente però già dire è che, se la spuntasse Donald Trump, l’arrivo alla Casa Bianca di uno come J.D. Vance, ancora giovane (è del 1984) e culturalmente molto solido, darebbe una rassicurante prospettiva – non solo politica, in realtà – al conservatorismo cattolico. Staremo a vedere (Foto: Ansa).
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