“Ci dicevano: ‘Dovete uccidere i bambini senza pietà. Dovete uccidere le donne, gli ebrei, gli infedeli e gli sciiti. Dovete ucciderli tutti’”. È la testimonianza di un giovane uomo tajiko, reclutato a Mosca dai miliziani dello Stato islamico (IS) per combattere in Siria e riuscito a fuggire.
L’uomo, condotto in Turchia, ha potuto far ritorno nel suo Paese di origine e ha raccontato al sito Radio Free Europe/Radio Liberty come i terroristi hanno adescato lui e altri uomini attraverso internet: “Esistono siti online che dicono: ‘Questa è la vera strada, la strada di Allah’. Ma abbiamo anche ascoltato prediche che promettevano grandi ricompense per coloro che diventavano martiri”.
Partito dalla Russia, l’uomo si è reso conto delle conseguenze della sua scelta solo quando è arrivato in Turchia. Egli ha raccontato che lui e gli altri compagni credevano di dover andare in Siria per studiare, non per combattere. I miliziani invece incitavano a uccidere in modo brutale chiunque incontrassero, anche donne e bambini. Se fossero morti da martiri poi, le loro mogli “avrebbero sposato altri jihadisti”.
Quello del reclutamento di combattenti stranieri da parte del Califfato, è diventato un problema evidente in diversi Paesi dell’Asia centrale, che hanno attuato iniziative per proteggere i territori di frontiera con l’Afghanistan. Di recente il Gruppo internazionale sulle crisi (Icg) ha pubblicato un rapporto in cui si stima che siano tra 2mila e 4mila i cittadini di origine centro-asiatica che si sono uniti agli estremisti islamici in Siria negli ultimi tre anni.
Lo scorso dicembre 2014 il presidente tajiko Emomali Rakhmon ha ammesso che diversi giovani hanno raggiunto i miliziani in Medio Oriente e ha descritto lo IS come “una piaga moderna che pone una seria minaccia alla sicurezza globale”. Rakhmon ha aggiunto che i cittadini tajiki che combattono insieme ai terroristi “provocano l’instabilità della società”, perché sono reclutati nel Paese attraverso le nuove forme di comunicazione.
Il 13 aprile la Commissione per gli Affari religiosi e culturali ha deciso di rispondere all’appello del presidente – che lo scorso mese ha invitato tutte le autorità a promuovere lo sviluppo di una società laica – e ha vietato i pellegrinaggi alla Mecca (hajj) per coloro che non superano i 35 anni. Il Comitato sostiene che il bando sia un tentativo utile per prevenire la formazione di idee radicali tra i più giovani. Al contrario per i musulmani più anziani, secondo gli esperti, l’iniziativa potrebbe essere una grande opportunità per intraprendere il pellegrinaggio, dal momento che l’Arabia Saudita ha limitato il numero annuale dei fedeli che si recano nei luoghi sacri.
Il bando del Comitato si aggiunge ad una serie di misure attuate dal governo di Dushanbe per diffondere i principi della laicità dello Stato, in un Paese in cui i musulmani sono il 97% su 8 milioni di abitanti. Le autorità hanno già vietato l’uso del velo per le studentesse, l’ingresso dei minori nelle moschee e costretto al ritorno in patria migliaia di studenti che si stavano formando all’estero in scuole islamiche.