È un Paese sempre più vecchio l’Italia, secondo quanto si legge nel rapporto dell’Ocse, Society at a Glance 2024, pubblicato a Parigi, il tasso di fecondità totale «più basso si registra in Italia e in Spagna, con 1,2 figli per donna e più, in particolare, in Corea con un tasso stimato di 0,7 figli per donna nel 2023». Una delle cause principali del fenomeno, come riportato nella stessa analisi, è l’ età sempre più elevata in cui le madri decidono di avere il primo figlio «cifra che è cresciuta da 26,5 anni nel 2000, in media Ocse, a 29,5 nel 2022».
E come se non bastasse l’ormai conclamato inverno demografico in cui è immersa la nostra nazione, che sarebbe una notizia drammatica già di per sé, a tutto questo, si aggiunge un altro dato preoccupante: l’incredibile squilibrio nel rapporto tra lavoro e pensioni secondo quanto sottolineato dal Civ [Il Consiglio di Indirizzo e Vigilanza che predispone le linee di indirizzo generale e gli obiettivi strategici dell’Inps e approva il bilancio adottato dal Consiglio di Amministrazione dell’Inps ndr] ascoltato in audizione alla commissione di controllo sugli enti previdenziali. Si prevede, cioè, che l’invecchiamento della popolazione e il calo demografico graveranno a tal punto sulla situazione patrimoniale dell’Inps, che nel corso di 10 anni andrà totalmente in passivo, passando da +23 miliardi nel 2023 a -45 miliardi nel 2032, con dei risultati di esercizio negativi che peggioreranno nel decennio: da -3 miliardi a -20 miliardi.
Dunque la necessità di diffondere sempre più una vera e propria “cultura della vita”, non è una fissa di gruppi para confessionali, ma una necessità che si sta facendo sempre più stringente. È da tempo che, anche sul nostro mensile, così come abbiamo sottolineato nella rubrica “La fede ha ragione” del mese di marzo abbiamo messo in evidenza che l’immigrazione per sconfiggere l’inverno demografico non basta, mentre una differenza possono farla i valori, soprattutto quelli legati alla fede. Peraltro, persino la stampa liberal è arrivata ad ammettere che le culle vuote stanno diventando un problema drammatico.
Lo scorso febbraio – come abbiamo ricordato sulle pagine del Timone di marzo – il New York Times segnalava come «fino a poco tempo fa, Paesi come Finlandia, Svezia e Norvegia avevano tassi di fertilità notevolmente più alti rispetto a molti altri Paesi d’Europa» e si guardava al «modello socioeconomico nordico, con la sua miscela di egualitarismo di genere e forte sostegno dello stato sociale all’educazione dei figli», ammirati dalle «politiche progressiste» e persuasi che «il femminismo sia il nuovo natalismo». E invece si è rivelato tutto il contrario! E lo dicono i “freddi numeri”: in Finlandia il tasso di fertilità attuale è di 1,4 figli per donna, a seguire la Norvegia (1,7) e Svezia (1,8), cifre che non si avvicinano al 2,1 che è il tasso di sostituzione. Dunque le “politiche progressiste” paiono non incoraggiare affatto la crescita demografica.
A conferma di ciò uno studio tedesco del Federal Institute for Population Research pubblicato nel dicembre 2023 su Advances in Life Course Research che ha indicato come a fare la differenza nella natalità, in realtà sia una semplice e genuina visione di fede. Esaminando 12.000 tedeschi di età compresa tra i 14 e i 46 anni, i ricercatori hanno rilevato che i quindicenni che fanno un cammino di fede «affermano di voler avere una media di 2,1 figli», mentre i coetanei secolarizzati «1,7». «Dal nostro studio», afferma Christoph Bein, uno degli autori, «risulta che esistono già evidenti differenze nei desideri dei figli quando si tratta di partecipare a eventi religiosi una volta al mese». Immaginiamo allora, come possano cambiare le cose quando la pratica religiosa è ancora più frequente, magari settimanale. Insomma, come spesso accade anche in altri ambiti, dove le osannate “politiche progressiste” annaspano, vince la fede (Fonte foto: Imagoeconomica).
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