Era l’autunno del 1947 quando un pastore beduino di nome Mohammed edh Dhib, cercando una delle sue capre, si addentrò in una grotta collocata in un luogo quasi inaccessibile e vi trovò, con sua enorme sorpresa, delle giare in terracotta, di circa 60 cm di altezza, che contenevano dei rotoli di pergamena. Quel giorno, il 29 novembre, aveva luogo una delle più grandi scoperte archeologiche della modernità, che ha segnato profondamente, rivoluzionandoli, gli studi sul Nuovo Testamento: il ritrovamento della «Grotta 12 di Qumran (Q12)». Qumran è la località sulla riva occidentale del Mar Morto, in Palestina, all’interno del territorio dell’attuale stato di Israele, vicino alle rovine di Gerico, in cui, in undici grotte, sono stati trovati documenti biblici, i cosiddetti «manoscritti del Mar Morto»
Oggi, esattamente 75 anni dopo, il deserto israeliano non ha smesso di restituire tesori dal valore inestimabile. Si tratta di quindici monete di duemila e duecento anni fa, ritrovate in una cava poco distante da quella che ha restituito i rotoli. Il quotidiano The Time of Isreal non esista a definirla la prima prova fisica che gli ebrei sono fuggiti nel deserto della Giudea durante la sanguinosa persecuzione che precedette la famosa rivolta di Hanukkah, quando il popolo ebraico fuggì nel deserto, come scritto nel libro dei Maccabei.
Secondo Eitan Klein, archeologo dell’Autorità Israeliana delle Antichità, Authority, che ha annunciato il ritrovamento, il tesoro sarebbe stato nascosto da un ebreo in fuga, che presumibilmente è poi morto nelle violenze che hanno portato alla rivolta dei Maccabei. «Qui, abbiamo una buona prova che le persone stavano davvero scappando proprio come è stato scritto duemila anni fa nel libro apocrifo». Poi ha spiegato «In generale, quando troviamo un deposito di monete, siamo di fronte una storia di guerra, altrimenti non può accadere che qualcuno scappi lasciando i risparmi di una vita». Nel caso specifico infatti si parla di monete che valgono circa due mesi di stipendio medio, una somma che non si lasciava certo facilmente.
L’indagine è stata portata avanti in collaborazione con il Dipartimento di Archeologia dell’Amministrazione Civile in Giudea e Samaria ed è stata finanziata in parte dal Ministero degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme. Naama Sukenik, direttore del Laboratorio di materiali organici dell’Autorità, ha spiegato sempre al Times of Israel che «la scatola di legno rotonda scoperta sembra quasi appena uscita dall’antico tornio che l’avrebbe realizzata. Dentro c’erano le quindici monete d’argento, un pezzo di stoffa tinta di porpora e un po’ di imbottitura di lana. Il clima secco del deserto, combinato con l’atmosfera protetta della grotta, ha preservato questi materiali organici in condizioni eccellenti. Non c’è dubbio – ha dichiarato – che il ritrovamento sia davvero unico».
L’Autorità israeliana per le Antichità conduce dal 2017 un’indagine per lo studio di circa cinquecento grotte nel deserto della Giudea, in parte finalizzata a cercare altri Rotoli del Mar Morto, in parte per fermare i saccheggiatori di antichità e manufatti archeologici. La scatola di legno è stata trovata incontaminata in una delle quattro grotte di Muraba’at dove, circa 70 anni dopo i primi scavi nella zona, stanno ancora venendo alla luce dei reperti che parlano dell’autenticità della nostra fede.
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