C’è chi si è commosso di fronte ai bambini israeliani uccisi dai terroristi di Hamas il 7 ottobre scorso. C’è chi si è commosso di fronte ai bambini palestinesi ammazzati dai raid israeliani. Ma ognuno ha pianto, fatte rare eccezioni (una su tutte monsignor Pierbattista Pizzaballa), solo i suoi defunti. Quelli che reputa più innocenti di altri, come se ci fossero morti di serie A e di serie B. Ma i morti, soprattutto se sono civili travolti da una guerra, bisogna piangerli tutti. Perché la vita di un bambino israeliano vale tanto quella di uno palestinese, di un italiano, di un russo o di un cinese
Non si tratta di essere buonisti. Si tratta solo di essere persone di buonsenso. E di buon cuore. È facile tifare per una parte o per l’altra mentre si è seduti su una poltrona e la guerra la si guarda dalla tv, tra un programma di cucina e un talent show. La guerra vera, quella che il nostro Paese grazie al Cielo non conosce da ottant’anni, è tutta un’altra cosa. Ha il sapore dolciastro della morte. Al tatto è appiccicosa come il sangue che si rapprende. All’olfatto ha il puzzo dei corpi in decomposizione. La guerra travolge tutto. Perché, checché se ne dica, le bombe non sono intelligenti. Sono tutte estremamente stupide, soprattutto quelle degli ultimi decenni.
La guerra annienta i corpi di oggi e i cuori di domani. Soprattutto in Medio Oriente, dove la storia parla ancora oggi. Non ci credete? Prendete il primo video dell’Isis. No, non è quello che pensate. Non è quello del povero James Foley che, con la sua tuta arancione, viene decapitato dagli uomini delle bandiere nere. Quello è il primo che è arrivato a noi. Quello che ha acceso l’attenzione dei giornali. Per un occidentale, il primo video dello Stato islamico è terribilmente noioso e mostra ruspe e bulldozer distruggere i confini tra Siria e Iraq definiti dagli accordi di Sykes-Picot del 1916 che disegnavano le zone d’influenza francese e britannica in Medio Oriente
A noi questo accordo dice poco o nulla. A un ragazzo siriano, iracheno, libanese o turco molto. E gli parla di quello che, a torto o a ragione, lui percepisce, a distanza di oltre cent’anni, come un sopruso. E lo stesso vale per israeliani e palestinesi se si parla di colonie o di intifada. O di diritto al possesso di determinati territori e di nakba. E ogni contendente si sente in dovere di ammazzare l’altro secondo il proprio concetto di giustizia. Che però è monca visto che tiene conto unicamente delle proprie ragioni e mai di quelle dell’altro. Uscire dalla spirale della violenza e della vendetta è dunque impossibile, almeno umanamente. Lo si può fare a una sola condizione: quella di Cristo. Che è misericordia. E che, forse non a caso, ha versato il proprio sangue per la salvezza di molti non lontano da Gerusalemme. (Fonte foto: Screenshot Rai, Youtube)
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