C’era una volta la libertà religiosa. Verrebbe da commentare amaramente così la dilagante repressione, in Occidente, ai danni di chiunque osi pregare davanti alle cliniche per aborti. Il tema non suonerà nuovo ai nostri lettori, dato che sulle pagine del Timone di luglio/agosto (qui per abbonarsi) hanno potuto leggere un Primo Piano dedicato proprio a questa nuova forma di «persecuzione dolce» ai danni dei cristiani; questo però non rende meno grave quanto continua ad accadere su questi versanti.
L’ultimo caso emerso al riguardo è quello di Claire Brennan, 52 anni, residente a Rasharkin – piccolo villaggio dell’Irlanda del Nord -, che il 3 ottobre 2023 era stata già arrestata insieme ad una persona in sedia a rotelle, David Hall, fuori dal Causeway Hospital, a Coleraine. La sua colpa? La donna, di fede cattolica, ha osato pregare, recitando il Padre Nostro, in violazione delle buffer zone, «zone cuscinetto» nelle immediate vicinanze di cliniche o ospedali dove si effettuano aborti all’interno delle quali sono vietate manifestazioni.
Simili perimetri sono stati introdotti in Inghilterra, Galles, Scozia, Irlanda del Nord appunto, Australia e in una quindicina di Stati americani. Claire Brennan è finita sotto processo però con una duplice accusa: quella della violazione «zone cuscinetto» e anche quella di essersi rifiutata di andarsene dietro ordine della polizia. A nulla è purtroppo valsa la difesa della Brennan, che pure si è dichiarata non colpevole delle accuse, sostenendo che le sue azioni di protesta erano protette dal diritto alla libertà religiosa sancito dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il Tribunale, nella persona del giudice distrettuale Peter Kind, lunedì si è pronunciato contro la donna, infliggendole una multa da 750 sterile; e questo facendo riferimento a una sentenza del 2022 della Corte Suprema del Regno Unito, che aveva confermato le restrizioni alle proteste sull’aborto in Irlanda del Nord, perché la norma bilancerebbe «i diritti dei manifestanti con quelli delle donne che cercavano privacy e dignità nelle cliniche per l’aborto». E i diritti – in primis quello alla vita naturalmente – dei bambini non ancora nati? Curiosamente, quelli non vengono neppure più nominati.
Ma torniamo a Claire Brennan, la cui testimonianza merita assolutamente un plauso. Non solo per il suo impegno – è reduce da ben 11 anni di veglie di preghiera settimanali fuori dalle cliniche per l’aborto e dagli ospedali -, ma anche per quanto ha detto durante il processo. «Sono cristiana e un’attivista pro-life», ha infatti dichiarato, «quindi il mio dovere morale è quello di sostenere gli ultimi tra i piccoli. Nessun uomo ha il diritto di togliere la vita». Parole che possono perfino apparire scontate, per l’evidente senso di giustizia dalle quali sono permeate, ma che nei tempi odierni assumo un contorno rivoluzionario.
Non stupisce, quindi, la condanna all’attivista pro life nordirlandese. Del resto, simili vicende presto potrebbero accadere pure in Italia. Eloquente, su questo, resta quanto accaduto a Brescia a marzo, quando un consigliere del Pd ha presentato un’interrogazione per chiedere l’applicazione del Daspo urbano (il divieto di accesso a determinate aree della città per chi «ponga in essere condotte che ne limitano la libera accessibilità e fruizione») agli «anti-abortisti», perché «mettono a rischio l’accesso ai servizi erogati dal presidio sanitario». Occhio quindi a ritenere quanto succede a Claire Brennan qualcosa di remoto, perché l’Irlanda del Nord non è così lontana (Foto: Imagoeconomica/Pexels.com–Pexels.com)
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