A volte i numeri dicono molto più delle parole. Sono 6.666 gli aborti effettuati in Irlanda nel primo anno dall’abrogazione dell’ottavo emendamento, che di fatto ha sancito la legalizzazione di quella che viene chiamata “interruzione di gravidanza”.
A sancire l’ufficialità di una cifra che puzza di zolfo è il Ministero della Salute che nel suo rapporto del 30 giugno scorso mette nero su bianco che 6.542 aborti sono avvenuti «all’inizio della gravidanza», altri 100 sono stati eseguiti a causa di una «condizione che poteva portare alla morte del feto», 21 a causa di un «rischio per la vita o la salute» e 3 a causa di un «rischio per la vita o la salute per una sopraggiunta emergenza». Come si possa pensare di risolvere il problema di non «rischi» provocando la morte del bambino, resta un mistero, tuttavia facendo la somma degli addendi il risultato è proprio il numero della bestia.
Ai 6.666 bimbi uccisi in Irlanda ci sono da aggiungere i 375 aborti su donne irlandesi effettuati nello stesso periodo in Inghilterra, sono 7.041, dunque, i cittadini irlandesi che mancano all’appello: «Per la prima volta nella nostra storia migliaia di bimbi non ancora nati sono stati abortiti con il pieno sostegno della legge irlandese», denuncia Maeve O’Hanlon, portavoce della campagna contro la legalizzazione dell’aborto nel Paese.
A stretto giro è giunto anche il commento dei vescovi, che attraverso il Council of life hanno diffuso un comunicato: «La stragrande maggioranza dei bambini che sono stati abortiti in Irlanda l’anno scorso vengono descritti eufemisticamente come “terminati all’inizio della gravidanza”. Mentre non li conosceremo mai personalmente, ognuno di questi bimbi era un essere umano unico e prezioso. Non avevano colpa se il loro concepimento era stato inaspettato o prematuro, il risultato di un’aggressione sessuale o del fatto che i loro genitori mancavano del sostegno che li avrebbe aiutati ad abbracciare la vita».
La nota rileva inoltre che negli ultimi mesi l’Irlanda ha sperimentato gli «effetti traumatici» della pandemia di coronavirus, che aveva ucciso, sempre alla data del 30 giugno scorso, 1.735 persone. «Ognuno era un essere umano unico, creato a immagine di Dio, e ogni morte è stata un lutto per una famiglia, un amico, una comunità». Per questo i vescovi rilevano «l’enorme contrasto» tra il dolore collettivo dell’Irlanda per coloro che sono morti durante la pandemia e il «blando rapporto di cinque pagine del Dipartimento della Salute, pubblicato lo stesso giorno».
Secondo i vescovi irlandesi tuttavia, questo tragico bilancio rappresenta un’occasione per la conversione personale, della politica e della società intera. Per questo il Council of life invita a fare in modo che l’impegno a favore della vita si concretizzi in sostegno pratico e psicologico alle donne che hanno difficoltà a causa della gravidanza. Alle mamme che hanno abortito va invece l’appello finale: «Sebbene per la morte di questi 6.666 bambini non ancora nati non avremo manifestazioni di lutto pubblico, sappiamo per esperienza che ci sarà un lutto personale molto doloroso. Cogliamo l’occasione per invitare tutte le persone coinvolte in un aborto – donne e uomini – a chiedere supporto spirituale, sacramentale e pastorale. Assicuriamo loro che saranno accolti senza giudizio e aiutati a trovare la guarigione e la pace».
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