Ci sono storie che hanno davvero dell’incredibile, che sembrano uscite da un romanzo tanto sono intense e straordinarie – e, soprattutto, che hanno il potere di lasciare un segno profondo in chiunque ne venga a conoscenza. Una di queste storie è senza dubbio quella della cambogiana Tran Lan. Classe 1970, questa donna si può dire che abbia attraversato l’inferno in terra. Infatti, nata tre anni dopo l’inizio della guerra civile nel suo Paese natale (1967-1975) – e cinque prima che i Khmer rossi iniziassero il loro regime di terrore e persecuzione fino al 1979.
Quando Phnom Penh, la capitale cambogiana, è stata svuotata da parecchi suoi abitanti rinchiusi brutalmente nelle campagne, la giovane Tran Lan era tra i reclusi. È il periodo in cui la Cambogia – sotto Pol Pot (1925-1998) – fu teatro del genocidio di un terzo della popolazione, almeno 1,5 milioni di persone, secondo le stime più prudenziali. È il periodo in cui per l’allora bambina iniziano quattro anni semplicemente indescrivibili, fatti di privazione alimentare, lavoro forzato e continue minacce di morte.
Solo per rendere l’idea di quello che, assieme a migliaia di altre persone, ha passato questa giovane, basti ricordare che era costretta – nonostante la giovane età – a lavorare in modo estenuante nelle risaie infestate dalle sanguisughe e che, insieme al fratello maggiore, veniva sottoposta a brutali interrogatori dai Khmer rossi. Interrogatori così pericolosi e disumani che portarono Tran Lan a mangiare anche meno di buona parte dei già malnutriti prigionieri e a dover arrostire da sola rane e rospi per sopravvivere. Erano giorni in cui le persone, ricorda:
«Cadevano come mosche. Letteralmente. C’erano morti ovunque. Ricordo una mattina in cui, senza motivo, ci liberarono. Andavo in giro sperando di trovare mia madre. C’erano solo cadaveri in giro. I Khmer rossi avevano sepolto i morti, ma non abbastanza in profondità… Pioveva e i corpi emergevano dalla terra. Non potrò mai dimenticare quello che ho visto», ricorda pensando a quel periodo, che rappresenta per lei una ferita ancora aperta; e che in qualche modo, comprensibilmente, lo sarà per sempre.
Eppure, secondo quanto da lei stessa raccontato al quotidiano canadese Le Verbe, è proprio là dov’era reclusa, nei campi di sterminio di Pol Pot, che la giovane vive l’inizio dell’esperienza che le cambierà la vita per sempre. È allora, infatti, che sente per la prima volta parlare di Gesù Cristo. Una scoperta che lì per lì deve aver colpito la giovane Tran Lan, senza però portarla ad una conversione. Conversione che però ha vissuto più tardi, quando era riuscita a trovare rifugio in Canada. Un rifugio che però non era quello che la giovane si aspettava.
A Montreal, infatti, Tran Lan era costretta a lavorare in una fabbrica sei giorni alla settimana, senza paga, mangiava a malapena e senza saper leggere né leggere. Tutto questo a causa dei maltrattamenti subiti dalla moglie di un fratellastro morto in guerra, come lei fuggita dalla Cambogia. Fu proprio in quel periodo non duro come quello cambogiano, ma comunque difficilissimo, che la donna rischiò – di nuovo – di morire. Accadde quando venne cacciata di casa in pieno inverno.
«Ero sicura che sarei morta congelata», ricorda, però poi è accaduto qualcosa: l’Infinito ha bussato al suo cuore e alla sua mente. «Poi», continua infatti Tran Lan, «ho pensato a Gesù. Gli ho affidato la mia vita mentre piangevo. Mi sento come se la mia fede fosse nata in quel momento. Ho capito che lui era morto sulla croce e che io sarei morta di freddo». Un timore rivelatosi eccessivo, dato che la donna poi è riuscita a trovare rifugio presso Lucille e Maurice, la coppia del Quebec che aveva reso possibile il suo arrivo in Canada.
Sarà proprio la signora Lucille a insegnare il francese alla donna, a rispondere a tutte le sue domande su Gesù e ad accompagnarla nel suo percorso di ingresso nella Chiesa. A 18 anni, tre mesi dopo la morte di Lucille, morta di cancro al fegato, Tran ricevette il battesimo, addolorata per aver perso – per la seconda volta nella sua vita – quella che considerava una madre. Più avanti, durante un ritiro presso i Carmelitani di Dolbeau, Tran vive quello che considera un incontro personale con Gesù. Che, mentre pregava, le ha sussurrato queste parole: «Dona la tua sofferenza».
Poche a cui la donna dice il suo sì, sentendo il cuore spalancarsi: «È stato così dolce che non riuscirò mai a descriverlo. Poi ho capito che dovevo morire al mio passato per continuare a vivere. Ho capito che Dio era stato lì in ogni momento della mia vita, che mi aveva dato la forza di andare avanti e di perdonare. Dio è innocente, proprio come mi sentivo io. Sulla croce perdonò i suoi carnefici». Il perdono, per Tran Lan, ha voluto significare tornare in Cambogia.
La donna è tornata nel suo Paese nel 2001, ritrovando una terra splendida ma martoriata, ferita ma ancora bellissima. In questo viaggio verso le sue origini e il suo passato, ha anche ritrovato – con immensa gioia – le sorelle sopravvissute come lei ai massacri del comunismo. In questo modo, la bambina che lavorava malnutrita e schiavizzata nei campi di sterminio di Pol Pot ha potuto fare pace con la crudeltà subita e con quel dolore indicibile del quale, grazie all’incontro con Gesù, ha potuto dopo tanti anni liberarsi. Ricevendo in cambio il Suo Amore: tutto ciò che davvero conta. (Foto: Screenshot Le Verbe médias, YouTube)
Potrebbe interessarti anche