Sabato 7 ottobre, giorno dell’attacco del gruppo terroristico di Hamas a Israele, lui si trovava proprio in territorio israeliano. Afshin Javid, fosse stato lo stesso di anni prima, avrebbe potuto essere tra i sostenitori di quell’assalto senza precedenti. Era un soldato di Hezbollah una volta, totalmente votato alla causa, radicalmente convinto della giustizia e della bontà del progetto di annientare gli ebrei, certo che la sua fede islamica fosse l’unica degna.
Adolf Hitler? Un uomo in gamba che semplicemente non è riuscito a finire il lavoro. Questo è quello che lui stesso pensava e che ha raccontato in diverse testimonianze, in un libro autobiografico pubblicato nel 2010 e recentemente all’emittente CBNNews: «Stavo andando negli Stati Uniti per convertire i cristiani all’Islam, e all’epoca avevo 30 passaporti illegali. Sono stato arrestato e messo in prigione in Malesia. Ero un musulmano devoto che non solo pregava le preghiere, ma leggevo il Corano una volta ogni dieci giorni da copertina a copertina. Quindi sono stato molto devoto nel mio tempo in prigione», ha detto Javid.
Una devozione e una determinazione tragicamente ammirevoli. Che ne abbia tenuto conto quell’uomo dall’apparenza normale in una luce ultraterrena che in un istante gli ha definitivamente trasformato il cuore e la vita? Era in cella quando è avvenuto l’incontro: «Un giorno, mentre sto pregando, un uomo appare davanti a me – di dimensioni normali, ma il suo essere brilla come la luce.» Una luce soprannaturale e carica della sua identità, spiegherà a breve. All’attonito Javid si impone in modo inequivocabile un’evidenza: costui è santo, io non lo sono. Nonostante tutta la sua devozione, nonostante preghiere, digiuni, disponibilità al martirio – nella sua forma perversa che uccide sé per uccidere altri in nome di un odio, ora lo sapeva, che Dio non ha mai messo in cantiere.
Sente di non meritare altro che la morte, ma percepisce anche la volontà insopprimibile di vivere. Forse riscopre così la propria vera vocazione di creatura amata da Dio, la cui prima chiamata è proprio quella alla vita. La vita è la principale vocazione da non disattendere. E così, racconta sempre con voce intensa e a tratti rotta dal pianto, ha chiesto a quell’uomo di perdonarlo. «(…) Ma non volevo morire. Così sono corso all’angolo della stanza, ho letteralmente tenuto la testa tra le braccia e ho gridato, gridando: “Perdonami, perdonami, perdonami”, ha detto Javid.»
Sente un tocco sul braccio sinistro e le parole di quell’uomo: “Ti perdono”, insieme alla certezza che il peso del suo peccato era stato rimosso. Se sono perdonato, pensa Javid, significa che costui è Dio perché solo Dio può perdonare: «(…) Tu sei Dio, ma sei un Dio diverso da quello che ho studiato. Questo non è Allah. Quindi chi sei tu che mi perdoni? E disse: “Io sono la via, la verità e la vita”, ha continuato». Colpisce davvero assistere a una testimonianza del genere: parole che a noi, nati in un paese forgiato dalla fede in Cristo, risuonano come familiari e quasi ovvie, ma solo perché divenute abituali, in un’anima che ne subisce l’urto diretto e senza alcuna catechesi preparatoria devono avere esercitato tutta la loro forza dirompente:
«E ho pensato, è molto potente. Significa molto perché come musulmano, preghi “Mostrami che c’è un percorso rettilineo”. E quindi la strada è una direzione. La verità è qualcosa che misuri. La vita è una fonte, ma afferma di essere tutti e tre. Non ho mai pensato che la strada fosse una persona. La verità è una persona, e la vita è una persona, e tutti sono la stessa persona» ha spiegato Javid.
Solo a questo punto gli chiede quale sia il suo nome e al sentirlo pronunciare, racconta ancora all CBN News, cade a terra e inizia a piangere. Il nome di Gesù Cristo unito al dono delle lacrime deve avere a tal punto schiarito la vista all’uomo che, come racconta egli stesso, il mondo ha finalmente iniziato ad apparirgli pieno di colori. Prima ne conosceva uno solo, un grigiore steso dall’odio su tutto e tutti.
«È come, sai, essere daltonico, e poi improvvisamente vedi i colori, e ti rendi conto che il mondo è molto più bello di quanto tu abbia mai pensato. E se mi chiedete cosa ha reso il mondo così incolore, è l’odio, la rabbia che è nel cuore di ogni musulmano». Insieme alla varietà di tinte inizia a riconoscere anche la struttura che regge il mondo e attraversa il cuore di ogni essere umano: l’amore di Dio per noi e il suo desiderio che ci amiamo reciprocamente.
(…) Nessun ebreo mi aveva mai fatto niente di male. Dio non ci ha progettato per odiare; non ci ha progettato per voler vedere qualcuno morto. Non ci ha progettato per queste cose. Questi sono disegni di Satana. Come pensi che uccidere le persone a cui Dio ha dato questa terra piacerà ad Allah? Gesù non è un Dio che celebra quando gli ebrei vengono uccisi”, ha spiegato. Gesù Cristo, il nostro Dio fattosi uomo, l’unico nome nel quale è dato di salvarci, è un Dio che ama il paradosso e così ha piantato storie come questa in mezzo all’esplosione più feroce di violenza fratricida che abbia colpito la storia contemporanea del Medio Oriente.
San Paolo non resterà il solo ad averLo visto mentre era assorbito da uno zelo sbagliato, diretto contro la Sua persona; non è l’unico ad avere perso la vista per ritrovarla finalmente davanti al solo uomo che possa dire di Sè “Io sono la via, la verità e la vita”. E così forse si capisce di più perché è nella speranza che siamo stati salvati, la speranza come certezza presente di un bene raggiungibile, che attende solo di espandersi e conquistare i cuori ancora chiusi in celle più anguste di quella che ospitava Javid. (CBN News, YouTube)
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