Due anni fa, The Economist scriveva che «essere gay-friendly costa poco ed è utile per il business» e faceva i nomi delle moltissime aziende americane che avevano messo nei loro bilanci anche i costi dei diritti dei lavoratori Lgbt: lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Era il caso della banca Merrill Lynch che già da 13 anni ha creato una sezione apposita incentrata sul mercato gay, di Google e di Apple che quest’anno ha partecipato con l’amministratore delegato Tim Cook e circa 4 mila dipendenti, alla sfilata del gaypride a San Francisco. Con tanto di t-shirts con la mela morsicata in versione arcobaleno.
In Italia, i primi a siglare accordi simili sono state alcune multinazionali straniere come Ikea, Citybank e Dhl, ma anche qualche azienda di casa nostra come Telecom e Coop Adriatica. Ultima, l’Università di Bologna, che tempo fa ha concesso un permesso analogo a un suo ricercatore. Le grandi hanno fatto subito scuola alle piccole che ne hanno seguito l’esempio. Come la Servizi Italia (servizi ospedalieri) e la Call & Call (call center) più che convinte che essere gay-friendly, come dice l’Economist, offra maggiori possibilità di guadagno perché attrae tanti consumatori dal forte potere d’acquisto.
Adesso arriva anche la Banca Intesa Sanpaolo del cattolico Giovanni Bazoli, cioè il primo gruppo creditizio in Italia e uno dei principali in Europa (oltre che azionista di maggioranza di Bankitalia).
Da poco è stato siglato un accordo sindacale davvero inedito: tutti i dipendenti gay che si uniranno in matrimonio (certificato, religioso o civile, riconosciuto in Italia o in uno Stato estero, il tutto senza l’obbligo della registrazione all’anagrafe italiana) avranno diritto al congedo matrimoniale identico a quello dei loro colleghi etero, con due settimane regolarmente retribuite per andare in viaggio di nozze.