di Marco Respinti
Nell’Università degli Studi di Milano, il professor Giampietro Farronato è ordinario di Ortognatodonzia, quella branca dell’odontoiatria che studia le anomalie dei denti e delle ossa mascellari. Con una squadra di superspecialisti ‒ Bruno Barberis, Luigi Fabrizio Rodella, Giovanni Pierucci, Mauro Labanca, Alessandra Majorana e Massimo Boccaletti ‒, ha passato al bisturi nientemeno che la Sindone. Ne è venuto fuori un libro ricco e intrigante, Autopsia dell’Uomo della Sindone (Elledici, Leumann [Torino] 2015), presentato qualche giorno fa a Milano nella Chiesa di San Gottardo in Corte, nell’ambito della rassegna «Scuola della cattedrale» promossa dalla Veneranda Fabbrica del Duomo.
Professor Farronato, avete fatto l’autopsia alla Sindone. Come vi è saltato in mente?
La medicina legale non aveva ancora detto tutta la sua ed eccoci qui. L’idea risale a quasi tre anni fa. Condurre un studio anatomico accurato dell’impronta sindonica a partire dalle istantanee scattate da Secondo Pia nel 1898 da cui risultò che l’immagine sul lino si comporta come un negativo fotografico. Abbiamo riletto daccapo una gran mole di foto e i risultati degli studiosi che ci hanno preceduto.
E che idea vi siete fatti della scena del crimine?
Che ovviamente non esiste più. Abbiamo indagato il crimine solo attraverso l’impronta lasciata dal cadavere.
Pochino…
Molto. L’anatomia è stata ricostruita dai dati morfologici offerti del lino. Soprattutto il volto, ricco e completo. Praticamente abbiamo assimilato l’immagine della Sindone alla “maschera” medico-legale abitualmente utilizzata per descrivere le lesioni su un corpo, cadavere o vivente.
E poi?
Io e Alessandra Majorana abbiamo reso l’impronta più leggibile per meglio esaminarla medicalmente. Con software per la gestione d’immagini, i più innovativi disponibili, abbiamo invertito i chiari e gli scuri, nonché l’orientamento destra-sinistra. Poi, applicando le metodiche utilizzate per rendere leggibili la TAC, la tomografia computerizzata Cone Beam, quindi la risonanza magnetica e altri esami tridimensionali, abbiamo ottenuta una completa diagnosi ortognatodontica, campo in cui la sofisticazione e la precisione arriva oggi sino al dettaglio più minuto.
Sembra CSI.
Può darsi… Ma è una metodica scientifica, non cinematografica. E infatti siamo riusciti a evidenziare dettagli che ci hanno portato a misurazioni davvero accurate.
Vorrebbe dirmi che solo studiando un’immagine vecchia di secoli su un telo usurato siete riusciti ad analizzare il volto come fosse quello di un cadavere in carne e ossa?
Di più. È stato come essere davanti a un paziente da sottoporre a correzione terapeutica di tipo ortodontico o chirurgico.
Ponti, impianti dentali, operazioni maxillo-facciali, cose così?…
Sì.
Rompo l’aplomb: fantastico. Cosa le ha detto alla fine quel volto setacciato in laboratorio?
Tante cose. Avendo per la prima volta applicato metodiche scientifiche quali la cefalometria cranica, che evidenzia le alterazioni strutturali presenti nell’Uomo della Sindone, i dati ottenuti sono: asimmetria nelle bozze frontali, zigomatiche; deviazione del setto nasale; e asimmetria della mandibola con dislocazione riferibili a traumi occorsi in un arco temporale prossimo al decesso.
Botte violentissime…
Il volto che emerge è dovuto al sangue versato, le cui tracce sono riferibili a essudati e a un’impronta che interessa un piccolissimo spessore della tela.
Dunque?…
Le metodologie oggi disponibili non sono in grado né di riprodurre né di spiegare quell’impronta che interessa solo un piccolissimo spessore della tela.
Chi sia l’Uomo della Sindone è l’oggetto di una controversia antica, a volte pure veemente. La scienza che dice?
La scienza dice che si tratta dell’impronta del cadavere di un uomo veramente sottoposto ante mortem a torture, flagellazioni e percosse, incoronato di spine e alla fine crocefisso. Questo ha determinato la morte di quell’uomo con una corrispondenza totale ai racconti dei Vangeli anche nella successione temporale in cui le torture sono state inferte, compresa la natura post mortem del colpo di lancia nel costato (cfr. Gv 19, 33-34). Studi scientifici proprio del marzo di quest’anno, coordinati dal prof. Giulio Fanti ed elaborati dall’Università degli Studi di Padova (che ha coordinato ricerche svolte in collaborazione con altri atenei), corredati da tre datazioni chimiche e meccaniche, hanno portato a una nuova datazione del lino: tra il 283 a.C. e il 217 d.C., arco di tempo compatibile con la vita di Gesù in Palestina. Ma la modalità di formazione dell’immagine resta un mistero inestricabile.
Taccio. Anzi no: è Gesù?
L’uomo di fede non può rivolgere alla scienza domande a cui la scienza non può dare risposte.
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