di Caterina Giojelli
su «Tempi»
Joshua Sutcliffe, 27 anni, è un insegnante di matematica alla Cherwell School, una scuola secondaria statale nell’Oxfordshire, in Inghilterra. O meglio, era: al momento è stato infatti sospeso dalle sue mansioni per aver approvato il lavoro di un gruppo di studenti con un «Ben fatto, ragazze!». Che c’è di male? C’è che in questo gruppo di ragazze è presente anche un transgender, una ragazza cioè che si identifica con un ragazzo e che subito s’infuria correggendo l’insegnante. Sutcliffe si scusa, dice che è stato un incidente, del resto è sempre stato attento a riferirsi a lei/lui col nome proprio maschile che aveva adottato, pur non avendo mai ricevuto istruzioni formali in questo senso.
Sembrava finita così; invece, il giorno seguente a una riunione di genitori, Sutcliffe viene convocato dal preside, interdetto dall’insegnamento e gli viene comunicato che è stata aperta un’indagine sul suo comportamento in attesa di un’udienza disciplinare. L’insegnante è incredulo e prova a difendersi spiegando ancora una volta che non c’è stato nulla di intenzionale e che si è corretto subito. Tuttavia, non trova un errore così «irragionevole chiamare “ragazza” una persona che è nata tale». Apriti cielo: da quando ha iniziato ad insegnare Sutcliffe ha infatti cercato sempre di bilanciare le sue convinzioni, in contrasto con la “fluidità di genere”, «con la mia responsabilità, di insegnante e di cristiano, di trattare ciascun alunno con rispetto e dignità. Non ho mai cercato di imporre le mie convinzioni agli altri, cerco solo di vivere seriamente il vangelo della pace».
Invece è stato processato per “misgendering”: l’accusa è che abbia violato le politiche sull’uguaglianza facendo riferimento all’allievo per nome per evitare di usare i pronomi maschili “he” and “him”. Un peccato aberrante anche per i media: «Torneremo allo show e torneremo al 2017 anziché alla Gran Bretagna medievale», così il presentatore televisivo Phillip Schofield ha terminato un’intervista all’insegnante trovando «ripugnanti» le sue convinzioni.
Sutcliffe non ha potuto affermare altro se non che «il modo aggressivo in cui l’ideologia transgender viene imposta sta sminuendo la mia libertà di credo e di coscienza così come quella di chiunque in questo paese ritenga che il genere venga assegnato alla nascita». Dopo la società post-religiosa e post-razziale l’Inghilterra sembra candidarsi infatti a fare da apripista alla società post-sessuale: attualmente ogni settimana circa cinquanta fra bambini e bambine dai 4 agli 11 anni alle prese con un’identità sessuale ancora “indefinita” vengono portati dai loro genitori nei centri specializzati in terapia-gender del Regno Unito, dove è possibile bloccare artificialmente la pubertà (arrestare il ciclo mestruale o la maturità del seme) per consentire loro un ulteriore “periodo di riflessione”. Negli ultimi sei mesi sono stati oltre 1.300 i bambini messi in stand by sessuale e si prevede un raddoppio della cifra per il prossimo anno.
Sutcliffe insegna alla Cherwell School dal 2015, secondo i media britannici frequentata da almeno sei studenti transgender. Insegna matematica, quella disciplina per cui 2+2 fa sempre 4, tranne in Inghilterra, dove non conta più il risultato ma l’azzeramento di ogni buonsenso.