Indi Gregory è morta stanotte, ore 1.45. Per il papà Dean la sua stessa vita è finita a quell’ora. Il dolore che ci agghiaccia tutti, e che può solo lambire le coste aspre di quello che provano i suoi genitori e le sue sorelle, non ha parole sufficienti per essere espresso. Non lo faremo, daremo invece voce alla speranza d’acciaio che ci sostiene e che siamo convinti stia colpendo il mostro giudiziario responsabile della sua fine – apparente – con la sua stessa ostinata stupidità.
L’argomento principale che ha sempre impugnato con mani viscide il braccio giudiziario britannico è che la piccola paziente fosse terminale, che la sua vita fosse inutile, che la sofferenza senza senso andasse rimossa, il best interest tristemente famoso e senza reale fondamento logico. Non c’è interesse senza l’essere, non si tutela l’essere volendo sopprimerlo intenzionalmente.
Gli argomenti di chi l’ha difesa con una tenacia formidabile sono paradossalmente gli stessi, ma più radicali, più sostanziali. Indi era irrimediabilmente mortale, destinata a terminare la propria vita, nel suo caso in tempi presumibilmente brevi. Lo era come tutti al punto che a lei fossero capitati in sorte pochi mesi o una mezza manciata di anni, anziché gli ottanta o novanta dei più robusti come ricorda la Bibbia, non doveva fare alcuna differenza. Siamo mortali, fragili, esposti ad ogni sorta di pericolo e cagionevolezza, ma i nostri giorni sono tutti preziosi, la nostra originalità incoercibile a qualsiasi assimilazione ad altro esemplare mai apparso nella scena del mondo. Nessuna ora, nessun minuto della piccola dagli occhi azzurri e le ciglia lunghe e curve doveva andare sprecato, poteva essere perso.
Siamo mortali, in questa prima veste, ma essa è una sorta di divisa sportiva che ci occorre per goderci la corsa e arrivare col fiatone o a passo lento alla dimensione della felicità piena. Proprio quel Paradiso che il papà di Indi ha intuito per la grazia che tanta sofferenza gli ha concesso, riconoscendo inorridito l’inferno nella crudeltà e nella durezza di medici e giudici. Anche noi siamo convinti che la vita sia inutile, come tutte le cose che davvero contano.
Lo è perché non deve essere utile, come un attrezzo per togliere chiodi o una scopa che raduna foglie secche. Lo è perché non deve essere quantificabile e oggetto di trattative come invece si possono fare intorno al prezzo di un immobile. Deve essere difesa per il suo valore irriducibile a qualsiasi altro; è la vita stessa e il suo significato a costituire la riserva aurea che permette alle banche di battere moneta e stampare banconote.
Anche sulla necessità che la sofferenza sia alleviata e dove possibile rimossa siamo perfettamente d’accordo e ancora di più sul fatto che sia indispensabile che il dolore abbia senso. Siamo stati fatti esperti in questo. Non ne siamo capaci da soli, e infatti non siamo soli, Dio stesso lo ha fatto per noi una volta per tutte e ci dà ripetizioni ogni volta che ne abbiamo bisogno. Solo che non abbiamo perso il senso della realtà e della logica: non esiste alcun bene per una persona se l’essere di quella persona viene negato. Non c’è interesse da difendere per nessuno se il mezzo per ottenerglielo è eliminarlo. Il primo diritto e l’unica condizione necessaria per parlare del bene della persona e dei suoi diritti è non negarne mai l’esistenza, non affrettarne la fine in modo voluto e intenzionale.
Per questo, in fondo, siamo convinti che la vittoria gradassa e atroce del Leviatano giudiziario inglese sia solo apparente e transitoria. Non solo nella dimensione eterna vedremo i frutti di quanto si è consumato in queste ore, ma anche qui nello svolgersi della storia che Dio non lascia mai andare alla deriva, se non noi quelli che verranno dopo di noi vedranno crollare il gigante di ferro e argilla, con tutta la sua fasulla e camaleontica pietà eutanasica. Quella per cui i giudici dell’Alta Corte hanno impedito a Indi di affrontare il viaggio in eliambulanza in direzione Roma perché “troppo rischioso”. Molto meglio assicurarsi che morisse accompagnata dalla marcia forzata della riduzione dell’ossigeno. Molto meglio anche impedire a Claire, Dean e alle sorelle maggiori di Indi di stare con lei a casa, di assisterla fino alla morte almeno in un ambiente significativo e pieno di dolcezza familiare, decisione che non trova sostegno nemmeno nelle valutazioni mediche del Queens Medical Center: «Indi — ha aggiunto papà Dean — ha sopportato un viaggio di 45 minuti per arrivare all’”hospice” senza nessun problema, mentre ci avevano detto che i 18 minuti per raggiungere casa nostra sarebbero stati troppo pericolosi».
Hanno proprio voluto sovvertire tutto, fino all’estremo, fino all’arroganza di pretendere che questi fatti siano chiamati giusti, questa morte dolce, questi protocolli procedure confezionate per il bene della bambina.
Nessuno disperi fino in fondo, però, perché essere chiamati all’esistenza è volontà del Creatore e per sua volontà la vita che ci è donata non verrà mai meno, ma diventerà indistruttibile. La gioia di sapere Indi battezzata per il fulmineo desiderio del suo padre terreno e lui anche incamminato alla scoperta della salvezza che Cristo ci ha guadagnato sia la conferma più bella e indistruttibile che nessuno può toglierci proprio un bel niente, perché noi siamo Suoi. (Fonte foto: Screenshot, GFS News, YouTube)
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