«Dopo l’ecografia in cui ho sentito il battito del suo cuore non ho più pensato al carcinoma, solo alla mia bambina», così Manuela Vergari, originaria di Cellino San Marco (Brindisi), racconta l’esperienza che l’ha fatta scoprire mamma e malata di tumore allo stesso tempo. «Ho scelto di chiamarla Vita, perché mi ha ridato la vita», il nome della piccola Cecilia Vita, porta con sé il leitmotiv della storia di Manuela che insieme al suo compagno Mirko ha scelto di portare avanti la gravidanza inaspettatamente scoperta pochi giorni dopo aver eseguito una mammografia di routine che le aveva rilevato un cancro al seno.
Il suo corpo si è ritrovato ad accogliere una vita, ma a dover tenere conto anche di un ospite indesiderato, «ma dall’attimo in cui ho saputo di essere incinta non ho avuto dubbi: lei era la cosa più importante». E per scegliere «la cosa più importante» Manuela ha dovuto cambiare regione, perché «negli ospedali vicino a casa tutti mi dicevano che l’unica soluzione sarebbe stata abortire per poi curarmi ma sapevo che ci doveva essere un’alternativa». Ha scelto così di curarsi nel capoluogo ligure, alla Breast Unit dell’ospedale San Martino, «mi è bastata la prima visita per capire che mi trovavo nel posto giusto, i loro occhi mi hanno infuso speranza», racconta. Va detto che anche a Genova la prima soluzione proposta era stata l’aborto, «quando è arrivata Manuela era all’ottava settimana di gestazione», racconta Piero Fregatti il chirurgo senologico della Breast Unit che l’ha operata, «abbiamo fatto una riunione multidisciplinare e le abbiamo suggerito di abortire, perché la carica ormonale della gravidanza rischiava di portare un aumento della dimensione del tumore e il formarsi di metastasi, ma anche perché con la gestazione in corso non si poteva pensare a terapie ormonali né tanto meno a chemio o radio».
La reazione di Manuela è stata un no deciso. «Avevo 39 anni, non era una gravidanza cercata ma se mi fossi sottoposta alle cure sarei stata messa in menopausa forzata con i farmaci per cinque anni: questa era la mia ultima possibilità di diventare mamma». Così l’equipe medica si è ritrovata a dover studiare una strada alternativa, «il nodulo era piccolo, in questi casi si asporta il tumore riuscendo a conservare il seno, ma questo avrebbe implicato la necessità di sottoporsi a radioterapia per 90 giorni, una soluzione non compatibile con la gravidanza», spiega ancora il chirurgo. «Così abbiamo deciso per un intervento di mastectomia, il più veloce possibile per non esporre a lungo la bambina agli anestetici, e senza ricostruzione nell’immediato perché avrebbe implicato altri rischi». Cecilia Vita è nata il 2 agosto e Manuela potrà sottoporsi alle terapie ormonali già dal 5 settembre, tra 7/8 mesi farà la ricostruzione mammaria.
In una società che punta all’autoconservazione dove accogliere una gravidanza è quasi sempre – fatta eccezione per i vip e i loro gender reveal su Instagram – sinonimo di rinunce, arrendevolezza al patriarcato o ritorno al medioevo, la storia di Manuela parla da sé. «Racconto la mia storia, offro la mia testimonianza per infondere coraggio e dare speranza alle donne che si trovano nelle mie condizioni. Sappiatelo, ci sono le alternative». C’è l’alternativa alla retorica del #mybodymychoice. C’è l’alternativa e a dircela sono le semplici parole di una mamma: «Ogni volta che la bambina si muoveva dentro di me mi convincevo che stavo facendo la cosa giusta». Le parole commosse del chirurgo: «Noi medici siamo partiti seguendo le linee guida in maniera rigida ma lei ci ha mostrato che c’è anche un’altra via, oltre a quella asettica della tecnica: quella del cuore, che magari comporta dei rischi ma regala risultati unici». A dircela è il battito del cuore di un bambino. Di una vita. (Fonte foto: Pexels.com)
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