Messico, vigilia delle elezioni parlamentari del 6 giugno 2021: nel dibattito sul voto spiccano le voci di alcuni personaggi di Chiesa, che nei mesi – o anni! – precedenti si sono espressi per dare indicazioni al popolo di Dio rispetto alle modalità con cui operare una scelta di campo.
Nelle prossime elezioni ci sono in gioco «la famiglia e il bene della stessa e della vita, perché questo governo ha adottato l’ideologia del gender», per questo è necessario votare con attenzione e non sostenere «un sistema comunista, socialista, che schiavizza», che mina la libertà. Così si era espresso il cardinale messicano Juan Sandoval Íñiguez, arcivescovo emerito di Guadalajara, all’inizio di giugno.
Tre anni prima, in occasione delle elezioni di quell’anno, l’arcivescovo primate del Messico, cardinale Carlos Aguiar Retes, aveva affermato che i cattolici devono sostenere quei politici che hanno a cuore i «valori fondamentali della nostra fede, come il diritto alla vita, il diritto a una famiglia stabile, il diritto all’istruzione, il diritto alla libertà religiosa».
«La Chiesa», aveva a sua volta rimarcato nel gennaio del 2021 il vescovo di Cancún-Chetumal, Pedro Pablo Elizondo Cárdenas, «dice: non votate candidati che sostengono l’aborto, che sono contro la famiglia, che sono contro i valori, che sono contro il matrimonio come lo descrive Dio nella Bibbia, da la prima pagina, maschio e femmina li creò e disse loro di crescere e moltiplicarsi».
Accanto ai due cardinali e al vescovo, anche due sacerdoti si erano espressi in modo simile. Mario Ángel Flores Ramos, per il quale è importante non dare più «potere a chi non ha saputo usarlo per il bene comune»; e Ángel Espinosa de los Monteros, che aveva esortato i messicani a chiedere «a Dio la luce» per poter votare correttamente e a non sostenere «quelli della cultura della morte e della divisione».
Ebbene, per queste loro parole, apprendiamo da InfoCatolica, i prelati erano stati denunciati dai deputati del partito Morena, che tuttavia in seguito avevano ritirato le loro istanze. Ma a poco è valso, come si apprende da un bollettino diramato il 18 novembre: la Camera specializzata del Tribunale elettorale del potere giudiziario della federazione (TEPJF) ha ritenuto infatti di dare comunque corso al processo, arrivando a condannare i cinque esponenti della Chiesa per aver trasgredito non tanto una legge che non esiste, bensì i principi stessi della Costituzione messicana, la quale prevede il divieto di «fare proselitismo a favore o contro qualsiasi candidato, partito o associazione politica».
Come a dire: la Chiesa non può “mettere il becco” negli affari dello Stato, non può dare ai propri fedeli indicazioni anche molto concrete su come vivere la fede in ogni ambito del proprio vivere, compreso quello che riguarda il proprio ruolo di cittadini elettori. Il tutto con buona pace della libertà religiosa e di espressione, che evidentemente non sono ritenuti dei principi altrettanto fondativi del bene comune, bensì un semplice orpello adatto solamente in determinati ambiti.
Inutile rimarcare, a questo punto, quanto di ideologico vi sia in questa decisione. Ideologia che, peraltro, non viene neppure fintamente celata: «I voti non sono cose celesti o spirituali», ha infatti affermato il giudice cui va il “merito” della condanna dei cinque prelati, Gabriela Villafuerte Coello, riprendendo le parole di padre Espinosa de los Monteros, «si tratta di generare voti con la conoscenza, con l’informazione, dal soppesare altre cose ed è proprio ciò che va rispettato, perché l’ispirazione celeste non ci porterà ad avere le persone migliori nelle posizioni elette dal popolo, è logico».
Adesso il Ministero degli interni del Governo dovrà assumersi la responsabilità di comminare una sanzione ai condannati: sanzione che potrebbe andare da un semplice ammonimento a una multa di tre milioni di pesos (circa 150mila dollari), ma non è escluso che la sentenza, che si è visto essere molto pesante nelle sue implicazioni liberticide, possa giungere davanti alla Corte interamericana dei diritti dell’uomo.
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