La vicenda è nota: alle 10.30, ora locale, di domenica 28 marzo, giornata in cui la Chiesa cattolica festeggiava la Domenica delle Palme, al termine della Santa Messa officiata da padre Wilhelmus Tulak nella Cattedrale di Makassar, quinto centro urbano più grande dell’Indonesia, due kamikaze arrivati sul posto in sella a una motocicletta si sono fatti esplodere e hanno causato il ferimento di una ventina di persone. Un bilancio pesante, ma che avrebbe potuto essere di gran lunga più grave, se i due fossero riusciti nell’intento di varcare il cancello, cosa che è stata loro impedita dalle guardie di sicurezza.
A quanto pare, i due erano marito e moglie ed erano affiliati di un gruppo jihadista. Tuttavia, come ha garantito porrà in essere il presidente indonesiano Joko Widodo, la questione andrà indagata a fondo per scoprirne gli autori e le loro radici. Una rassicurazione, questa, che sfocia in un appello: «Invito tutti i membri della società a combattere insieme il terrorismo e il radicalismo, che sono contro i nostri valori religiosi e nobili valori come nazione che sostiene i valori divini e sostiene i valori della diversità».
La frase del leader indonesiano si comprende appieno se si considera che il Paese del sud-est asiatico è la nazione a maggioranza musulmana più popolosa del mondo: i fedeli di Maometto rappresentano oltre l’85% della popolazione, mentre i cristiani sono circa il 10% (si stimano 270 milioni di persone, delle quali circa 8 milioni cattoliche). Ma anche se si inserisce questo in una cornice che vede una situazione di tensione e di allerta terroristica che si protrae oramai da diversi anni, segnata da un elenco di attacchi, perpetrati specialmente nei confronti della comunità cristiana, che si fa sempre più lunga.
Nel frattempo, non si sono fatti attendere i commenti dei vertici della Chiesa cattolica, con manifestazioni di solidarietà e di preghiera da parte dello stesso papa Francesco nell’Angelus domenicale, ma anche dei vescovi francesi e di altre nazionalità. Accanto a loro, anche diversi leader politici hanno espresso giudizi di condanna e manifestato la loro vicinanza.
LE PAROLE DEI VERTICI ECCLESIASTICI INDONESIANI
Interrogato dalla Cna il giorno seguente all’attentato, lunedì 29, l’arcivescovo di Jakarta, card. cardinale Ignatius Suharyo Hardjoatmodjo (foto a lato), dopo aver rassicurato rispetto alle condizioni di salute delle persone ricoverate in ospedale in seguito alle ferite, ha affermato che l’azione omicida compiuta nella Domenica delle Palme, proprio all’inizio della settimana più importante per i cattolici di tutto il mondo, «ha scioccato tutti in Indonesia, non solo i cattolici», tanto che, ha proseguito, «i leader di tutte le comunità religiose […] hanno condannato la brutale violenza».
Di fronte al dolore e alla paura, e anche nell’ottica di vivere ancora più in pienezza la Settimana Santa, il cardinale ha tuttavia rassicurato rispetto al fatto che le celebrazioni previste nel cammino verso la Pasqua, in accordo con il Governo, si svolgeranno regolarmente. «Preghiamo tutti», ha quindi concluso Suharyo, «di poter celebrare pacificamente questa Settimana Santa e che tutti gli indonesiani, non solo i cattolici, sperimentino la pace che Gesù Cristo ci porta». Una speranza, la sua, che è una scintilla di fede che illumina un momento drammatico per l’Indonesia, ma anche per tutto il mondo, sempre più segnato da un clima di terrore e da una preoccupante tendenza “cristianofoba”.
Il leader della commissione per il dialogo interreligioso dei vescovi, monsignor Yohanes Harun Yuwono, dopo aver a sua volta espresso una netta condanna dell’attentato, ha aperto la prospettiva rispetto alla preoccupazione che esso non vada a minare i delicati rapporti, costruiti con fatica, tra le diverse religioni presenti nel Paese.
La realtà, tuttavia, appare essere quella tristemente rilevata da Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre in Italia: in Indonesia, «il calendario del terrore continua ad allinearsi con quello liturgico». E purtroppo non solo lì.
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